Nell’immaginario collettivo- scrivono nella lettera i due rappresentanti di Legambiente– quando ci si riferisce alla green economy, in genere si pensa alle nuove tecnologie nel campo della produzione di energia, che sempre più profondamente stanno soppiantando le fonti fossili, irriproducibili ed in corto di esaurimento. Allargando il significato del termine, potremmo parlare di green economy riferendoci a tutto ciò che produce benessere con meno consumo di suolo, meno energia, meno materia, meno chilometri e che di riflesso ha bisogno di una green society, ovvero di una società con più legalità, più cultura e consapevolezza da parte dei cittadini, più benessere per tutti dentro nuovi stili di vita. In questo contesto le aree protette possono essere intese comeinfrastrutture della green economy, come esempi virtuosi di un modello di governo del territorio che potrebbe/dovrebbe allargarsi a tutto il territorio, ben al di là dei confini delle aree protette.
Se ci limitassimo a ragionare semplicemente di cosa hanno bisogno i parchi, finiremmo per chiuderci in un ottica rivendicativa, un po’ lamentosa e perdente, in cui una parte del mondo dei parchi è rimasto chiuso negli ultimi anni. Pensiamo invece che il campo di azione sia disegnato da tre poli; l’importanza della natura come patrimonio di biodiversità da valorizzare, la dimensione istituzionale, con i problemi connessi alla governance ed il ruolo dei cittadini, in qualità di fruitori, difensori dei territori oltre che abitanti e lavoratori nei territori delle aree protette. Più serio e profondo sarà l’impegno per la conservazione e la difesa del patrimonio naturale, più ci sarà possibilità di sviluppo.
Trasmettere il valore parco, il valore natura, agricoltura pulita, sana e giusta, turismo responsabile e durevole, in questo modo le aree protette non dovrebbero avere difficoltà a posizionarsi come infrastrutture della green economy, come esempi virtuosi di un modello di governo di un territorio che potrebbe allargarsi oltre i confini del parco stesso.Se sono reali e vere le cose finora esposte allora si deve dire che qui in Campania i parchi Nazionali possono fare molto ma hanno bisogno di un profondo rinnovamento, ed in questo sia il Ministero dell’Ambiente che la Regione Campania devono e dovranno svolgere un ruolo più attento alla missioni a cui sono deputati.
Le associazioni ambientaliste- concludono Buonomo e Raia di Legambiente- non hanno mai abbandonato i parchi in Campania, hanno sempre creduto e credono che solo se si ragiona in un’ottica complessiva e sostenibile, conoscendo a fondo i problemi di un’area, valorizzando le eccellenze, mettendo insieme le migliori esperienze e competenze in ambito pubblico e privato in una prospettiva di green economy, si possono cambiare le sorti di un territorio e del paese.”