Il nuovo anno, sul fronte del lavoro, è cominciato nel peggiore dei modi, ai massimi dal 1977 il tasso di disoccupazione che, a gennaio, rileva l’Istat, sale al 12,9%, con quasi 3,3 milioni di persone in cerca di un impiego; la timida ripresa di fine 2013 non è riuscita a invertire la drammatica tendenza della disoccupazione. E così l’Istat ha certificato che a gennaio la disoccupazione ha continuato a macinare record. Infatti i numeri diffusi dicono che l’anno scorso è stato il peggiore dell’era della crisi con quasi mezzo milione di posti di lavoro persi. E’ calata soprattutto l’occupazione maschile (-350.000) mentre quella femminile è scesa dell’1,4% (-128.000 unità), un dato peggiore anche di quello del 2009 che finora risultava il momento più nero della crisi. Boom del tasso di disoccupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni che schizza al 42,4% con un picco del 51,6% nel Sud (e del 53,7% per le giovani donne nel Mezzogiorno), calo anche dei precari, -200mila in un anno; mentre al lavoro aumentano i più anziani (+239.000 gli over 50) a causa delle regole più rigide per andare in pensione. Si accentua la flessione nelle costruzioni (-163.000 unità pari a un -9,3%) e i posti di lavoro si riducono anche nel terziario (-1,2% cioè 191.000 unità in meno) con cali soprattutto nella pubblica amministrazione e nel commercio. Altro dato preoccupante è la rassegnazione: forte l’aumento di coloro che rinunciano a cercare un lavoro perché pensano di non trovarlo, a quota 1,79 milioni. Rispetto alla media europea che si attesta al 12%, in Italia la disoccupazione cresce di più e più in fretta!
Il lavoro sommerso torna a salire: dopo due anni in calo il fenomeno si fa risentire soprattutto al Sud, dove è al 20,9% con picchi in Calabria (30,9%). Tradizionalmente l’incidenza delle unità di lavoro irregolari risulterebbe maggiore nell’agricoltura, in alcuni servizi (commercio e pubblici esercizi) e nell’edilizia.
Ma quanto è possibile riconoscere questi numeri sulla disoccupazione nel nostro territorio? Quello che emerge dai dati Istat è un quadro a tinte fosche: la Campania è sul podio per mancanza di lavoro, seguita da Calabria e Sicilia, dato allarmante se confrontato con le altre regioni d’Italia, la più virtuosa delle quali risulta essere il Trentino.
Ma analizziamo ora la situazione fotografata nei centocinquantotto comuni presenti nella nostra vasta provincia: a Salerno un giovane su tre non trova lavoro, con una media provinciale di disoccupazione che si attesta intorno al 17,6%. Dalla classifica stilata vediamo al primo posto Pertosa con il più alto tasso di disoccupazione pari al 28,3%, al terzo posto Sant’Egidio del Monte Albino 24,1%, al quinto Pagani 23,7%, Angri al 26°posto col 19,7%, 34° Sarno 19,3%, 58° Nocera Inferiore 18,1%, 62° San Marzano sul Sarno 17,7%, 75° Cava de’ Tirreni 17,3%, 81° Salerno 16,8%, 91° Scafati 16,3%. Tra i comuni più virtuosi vi sono: Ravello 153°, Positano 156°, Controne 157° e infine Campora 158° con percentuali che si attestano intorno all’ 11%.
Una situazione certamente non felice ma migliore rispetto a quella della provincia napoletana che registra una disoccupazione pari al 22,6%. Migliora la situazione in Irpinia con un tasso del 15,2%, Benevento si attesta poi intorno al 14,5%, ma vediamo che la provincia in assoluto più virtuosa della Campania risulta essere Caserta con un tasso pari al 14%.
Le cifre sulla disoccupazione che, potrebbe peggiorare nei prossimi mesi, allarmano i sindacati i quali hanno chiesto al Governo interventi urgenti sulla riduzione del cuneo fiscale con conseguente inversione di rotta dell’economia nazionale. Una prima sterzata è stata invocata dalla mobilitazione promossa da Rete Imprese Italia, la confederazione di imprese guidata in questo momento da Marco Venturi (Confesercenti) che il 18 febbraio scorso ha portato in piazza oltre 60mila piccole e medie imprese, per chiedere, pacificamente, una svolta nella politica economica del governo.
Quelli della disoccupazione sono numeri definiti «allucinanti» dal premier Matteo Renzi il quale nel corso del Cdm via twitter ha annunciato che il primo provvedimento del nuovo Governo sarà il Jobs Act: un pacchetto di misure volto a semplificare e rilanciare il mercato del lavoro, cui dovrebbe accompagnarsi una riduzione del cuneo fiscale di “almeno 10 miliardi”. Il Governo, spiega il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, conferma l’intenzione di «promuovere gli investimenti delle imprese, ridurre il cuneo fiscale, migliorare l’efficienza del mercato del lavoro, ridefinire il sistema degli ammortizzatori sociali e sviluppare le politiche attive per il lavoro: in sostanza far partire il Jobs Act»
Finora si tratta di una bozza che contiene una serie di riforme per creare occupazione e rendere più efficiente il mercato del lavoro. Tuttavia siamo ancora nel campo delle ipotesi e delle intenzioni. Il mondo delle imprese si aspetta grandi risposte ma soprattutto si aspetta la celerità nei provvedimenti perché si è stanchi. Si è logori di un sistema che ha portato allo sfinimento totale delle realtà commerciali piccole ma anche di quelle grandi. Si è stanchi di seguire sempre i soliti criteri di assegnazioni di poltrone e poteri, mentre l’Italia economica fatta di commercio e di imprese, lentamente muore.
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