Sfruttare la riforma per rendere la Lega Pro un laboratorio innovativo del calcio italiano. Il terzo campionato italiano, che dalla prossima stagione si tirerà a lustro con una ”dieta” ferrea (si scenderà a 60 squadre divise in tre gironi, con la scomparsa della Seconda Divisione), studia infatti gli strumenti per modernizzare il sistema e valorizzare i giovani. Se n’è parlato oggi nel convegno ”La Riforma della Lega Pro, cosa cambia, come si struttura e la sua funzione per rendere più competitive le società”, svoltosi a Roma presso la Scuola Superiore di Polizia.
“Si ottengono risultati solo con l’organizzazione – dice il presidente della Lega Pro, Mario Macalli -. Bisogna organizzarsi in maniera diversa. Come Lega abbiamo cercato di spiegare ai nostri club cosa è utile fare, chi ha capito ne trarrà dei benefici”. Macalli traccia quindi la strada: “servono risorse ma non infinite dobbiamo far fruttare quel che abbiamo e destinarle alla patrimonializzazione delle società”.”Servono stadi di proprietà – aggiunge -, ma non cattedrali, da far vivere tutta la settimana e dove i giovani possano crescere”.
Come rileva Francesco Ghirelli, il dg della Lega Pro, infatti i ”club diventeranno sempre più aziende in equilibrio economico finanziario”. ”La nostra lega – prosegue –è l’unica che ha ridotto il numero club e si è data delle regole sul budget sapendo che questo equilibrio rende più equilibrati i campionati. Questa è la strada tracciata dalla riforma: si perdono i contributi a fronte di penalizzazioni. La differenza tra noi e gli altri è che loro dicono ‘faremo le riforme’, noi le stiamo già facendo”. Sul modello dei campionati stranieri, con l’intervento di Ricardo Resta (direttore dell’Organizzazione Competizioni Liga Spagnola), e della Fiorentina, e con un occhio di riguardo ai giovani calciatori, da guidare anche nella formazione e nella crescita. ”La Lega Pro ha fatto un ottimo lavoro con questa riforma – dice Eduardo Macia, dt dei viola –. Ma è uno strumento che la Lega mette a disposizione delle società. Bisogna migliorare le loro strutture, ma non senza creare un’identità di squadra, che è stata la grande forza del calcio spagnolo”
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