Prende il via la stagione 2014 di Report, il programma di inchieste condotto da Milena Gabbanelli su Rai Tre, e lo fa con un’indagine, a cura di Bernardo Iovene, su una vera e propria icona del Belpaese: il caffè. Quel che ne emerge è tuttavia un quadro disincantato e piuttosto distante da quanto siamo soliti immaginare, che scatenerà senza dubbio polemiche là dove prende di mira veri e proprie istituzioni del caffé nostrano, come quello – molto rinomato – di Napoli e in generale di alcuni dei bar più prestigiosi del paese. Convinti che l’Italia sia a tutti gli effetti sinonimo e garanzia di ottimo caffè non ci accorgiamo infatti – per Report – della scarsa qualità della bevanda che ci viene servita nei bar, e non prendiamo sufficientemente in considerazione alcuni decisivi elementi, che vengono troppo spesso trascurati anche dagli addetti ai lavori.
Quali sono? Innanzitutto emerge una scarsa igiene delle apparecchiature utilizzate, che in molti casi non vengono sufficientemente pulite. Le macchine non vengono spurgatedelle acque prima della preparazione di ogni caffé, le guarnizioni e i beccucci vengono lavati molto raramente e in essi si accumulano residui che attribuiscono ai nostri caffé un sapore bruciaticcio o rancido; quest’ultimo anche a causa della mancata pulizia delle campane dei macinini (le campane in vetro nelle quali sono contenuti i chicchi di caffé) e a causa del fatto che le miscele non vengono conservate in frigo, così come dovrebbero. Una situazione che potrebbe anche avere conseguenze per la salutedato che – sebbene non vi sia alcuna evidenza scientifica a favore di questa tesi – per alcuni scienziati delle sostanze potenzialmente cancerogene potrebbero essere rilasciate ad alte temperature in mancanza di una adeguata pulizia dei macchinari e dei recipienti.
Oltre ad essere mal preparato, poi, il caffé nostrano sembra mancare di qualità all’origine. I meccanisimi attraverso i quali gli esercizi commerciali scelgono le torrefazioni, e di conseguenza lo stesso caffé che ci viene in seguito erogato, sono spesso dominati da logiche economiche e di riparmio. Secondo Report, infatti, la politica delle torrefazioni è quella di acquisire e conservare i bar come clienti concedendo loro in usufrutto macchine, tazzine, tavoli e altri elementi essenziali all’attività stessa, finendo con il rendere gli esercenti economicamente e commercialmente dipendenti da loro, per poi far loro ripagare, attraverso un prezzo più alto del prodotto, questi servizi. Si registrano addirittura casi in cui le torrefazioni si propongono come vere e proprie finanziarie, che concedono ai bar prestiti e finanziamenti per la ristrutturazione del locale in cambio di contratti a lungo termine – e alta rendita – di fornitura di caffé.
L’esigenza, da parte delle attività commerciali, di risparmiare, porta dunque a comprare miscele a buon mercato (in particolare dal Vietnam) quando i prezzi sono vantaggiosi, lasciandole stipate in container dove in poco tempo irrancidiscono e assumono un sapore legnoso. E lo stesso avviene, secondo Report, per ciò che riguarda il caffé macinato per uso domestico, che si presenta spesso commisto a parti di scarto dei chicchi, che contribuiscono di molto ad abbassare la qualità del caffé.
E le capsule, sempre più amate dagli italiani? Anche quelle non sono esenti da difficoltà e pericoli. Da una parte, infatti, le capsule usate rappresentano in misura sempre maggiore un pesante carico di rifiuti da smaltire, dato che non possono essere riciclate attraverso la comune raccolta differenziata. Dall’altra, poi, la loro composizione, essenzialmente plastica e alluminio, legittimerebbe, secondo Report, seri dubbi riguardanti il rilascio – e l’accumulo nei nostri caffé – dipericolose tossine.
Fonte Yahoo
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