Con «don Aurelio» è già tutto chiarito: «Ci siamo sentiti al telefono, l’ho ringraziato dell’invito, poi gli ho spiegato le ragioni del mio inevitabile no. Non sono un tifoso, ho detto di no ad un invito simile della Salernitana, che però non era trapelato sui mass media.
Un inno a ritmo di rap ci sta benissimo, l’idea è più che indovinata, ma lo deve scrivere un tifoso vero, penso a «Grazie Roma» di Antonello Venditti, come al Nino D’Angelo ragazzo della curva B. Io non sono ragazzo di nessun curva, non posso barare, pur essendo figlio di un maniaco del calcio, e in questo caso della Salernitana. È rimasto prima spiazzato, poi felicemente sorpreso dalla mia risposta. Sa che la squadra merita una canzone che accompagni e propizi le sue imprese; da uomo di spettacolo, prima ancora che di sport, ha intuito che la colonna sonora della meglio gioventù italiana, non solo campana, oggi è scandita dalle rime hip hop. E, bontà sua, aveva puntato su uno scugnizziello di Salerno, a cui avrebbe perdonato anche una presunta infedeltà sportiva. Ma è stato felice, mi ha detto, di scoprire la sincerità con cui, ringraziandolo per l’invito, rifiutavo un incarico di prestigio».
Fonte IL MATTINO