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Salernitana, flop al primo vero esame dopo due campionati vinti tra Serie D e C2

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Il progetto Salernitana sembrava affidabile perché a proporsi per la ricostruzione del calcio cittadino erano stati un presidente di lungo corso e navigato come Lotito ed un giovane ed ambizioso imprenditore, a digiuno della materia calcistica,  ma molto attento e puntuale.  Come dire: siamo in mani sicure, possiamo fidarci. Poi va a finire che si gettano fondamenta d’argilla, con il palazzo che traballa al terzo anno di matrimonio ed una valanga di dubbi assale tutto e tutti. Salernitana forte con le piccole e piccola con le grandi? Al primo vero esame, quello con un coefficiente di difficoltà più alto pur senza retrocessione e con una griglia play off estremamente allargata, la società ha fatto clamorosamente cilecca.

Due anni tra Serie D e C2 a testa alta ma contro squadre modeste,  senza storia e tradizione: Palestrina, Selargius, Monterotondo, Progetto Sant’Elia, Città di Marino nei dilettanti. E poi in C2, Aprilia, Poggibonsi, Gavorrano, Fondi e Borgo a Baggiano per fare qualche nome. Tutto bene, tutto fin troppo facile. Poi l’esame C1, con tante squadre ambiziose ed importanti ed ecco che la Salernitana si è squagliata come neve al sole. Campionato sbagliato in partenza o squadra e società sopravvalutata in questi ultimi anni? Il dubbio rimane come rimangono le perplessità sul futuro e sulle ambizioni del club. Ecco il punto: una società nata da poco per raggiungere una certa stabilità dovrebbe sposare un progetto e portarlo avanti. Se le linee da seguire diventano due o di più il giocattolo si rompe. Il modello Lazio non è esportabile a Salerno. Salerno non può essere telecomandata a distanza, gestita come la sorella povera della Lazio nei ritagli di tempo e quando non ci sono assilli o emergenze da fronteggiare nella casa madre. Salerno merita rispetto, Salerno non è la seconda squadra della Lazio

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