La fattura fu poi saldata grazie alla sensibilità di Alfonso Andria, che aveva sostenuto e accompagnato l’impresa di Veneroso, e che all’epoca, parliamo del 2003, era presidente della Provincia di Salerno. Andria, amante del Cilento, e ancora oggi vicino a Veneroso, ha voluto fortemente questa serata col navigatore oceanico e nel corso del suo intervento, rinverdendo i suoi trascorsi teatrali, ha letto magistralmente “ ’O Viento”, una poesia di Ernesto Murolo.
Hanno fatto gli onori di casa il presidente del Circolo, Alberto Gulletta, il vicepresidente sportivo, Rosario Buonomo, il consigliere alla vela Pietro De Luca. E al tavolo dei relatori, con la giornalista Olga Chieffi, c’erano Francesco D’Episcopo, docente di letteratura italiana alla Federico II di Napoli, Alfredo Ricci, organizzatore e umpire di regate di match race, e parliamo di Coppa America, e Mimma Luca, delegata provinciale Coni.
Illustrare il libro è toccato a D’Episcopo, che avendo indovinato il talento poetico di Veneroso, lo ha spinto a raccontare la sua avventura marinara. E ne è uscito un testo sorprendentemente lungo, quasi 400 pagine fitte fitte, che ti prendono e non ti lasciano più. “Un libro cilentano”, lo ha definito D’Episcopo. E il Cilento e Pisciotta e soprattutto Marina di Pisciotta, nella prima parte del libro, compongono un quadro difficile da dimenticare.
Poi comincia l’avventura sull’oceano, oltre le colonne d’Ercole, come un novello Ulisse, fino a Montevideo, sulle orme del Leone di Caprera, una goletta, di nove metri come lo sloop Jutta, che nel 1880 dopo nove mesi di navigazione portò tre emigranti italiani dall’Uruguay all’Italia, sulle tracce di Giuseppe Garibaldi. Fra il pubblico a sorpresa un altro navigatore: Gabriele Vita che accompagnò Veneroso nel viaggio a ritroso dall’Uruguay all’Italia. Fra il viaggio di andata e quello di ritorno passarono un po’ di mesi. Veneroso a capodanno del 2003 lasciò lo Jutta a Montevideo e rientrò a casa con un volo Alitalia.
Rimase a Pisciotta fino a Pasqua. In quei mesi fra gennaio e aprile organizzò il viaggio di ritorno, con cui voleva portare sulla tomba di Garibaldi a Caprera una sciabola donatagli dagli italiani di Montevideo. Questa volta voleva che a compiere la traversata fossero in tre, come in tre erano i marinai del Leone di Caprera 124 anni prima. Avrebbe voluto portare con sé un marinaio di Marina di Camerota, lo stesso paese di Pietro Troccoli, uno dei navigatori del Leone di Caprera. Il compagno di viaggio lo trovò invece a Marina di Casalvelino: appunto Gabriele Vita, esperto velista, cui a Montevideo si aggiunse un medico, Emil Kamaid. Questo, completamente a digiuno di mare. E a questo punto sarebbe il caso che Emil raccontasse la “sua” traversata!