Lo studio della lezione dei classici al conservatorio, l’enorme eredità della melodia popolare, l’incontro con il jazz ed il rock. Tutto questo viene utilizzato da Sepe e convogliato in una world music che riflette tali curiosità e aperture: spruzzate folk, echi jazz, virate rock (con un occhio di riguardo per Frank Zappa), riflessi classici e accenti di musica popolare (a partire dalla lezione del cantautore cileno Victor Jara). È questa la musica di Daniele Sepe, sassofonista del panorama italiano ed internazionale, accompagnato da Tommy De Paola alle tastiere, Davide Costagliola al basso, Paolo Forlini alla batteria.
“La musica è qualcosa che è stato sempre globale” spiega Daniele Sepe. “Già per esempio Stravinskij che faceva Pulcinella era un primo esempio di musica globalizzata, d’altronde la maggior parte della musica popolare di questo secolo è una musica fatta di immigrazione, pensiamo al Tango, al Reggae o al Calipso. Gli artisti, tutti, hanno sempre ricercato nuovi spunti e nuove fusioni in ciò che sentivano di nuovo”.
Daniele Sepe nasce a Napoli nel 1960. A soli sedici anni, nel 1976 partecipa allo storico disco “Tammurriata dell’Alfasud” dei Zezi, gruppo operaio di Pomigliano d’Arco. Si diploma in flauto al Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli. Dopo alcuni anni di esperienza prima come flautista classico, poi come sassofonista turnista, nel 1990 realizza il suo primo album autoprodotto: Malamusica. Nel 1993 collabora con la band napoletana 99 Posse per l’album “curre curre guagliò”. I suoi album incontrano subito il parere favorevole della critica, ma è soltanto col quarto,Vite perdite, realizzato dalla Polosud e distribuito in tutto il mondo dall’etichetta tedesca Piranha, che le vendite decollano.
Nel 1998 l’album Lavorare stanca gli frutta la targa Tenco come migliore album in dialetto. Numerose sono le sue collaborazioni con registi cinematografici e teatrali (Mario Martone, Davide Ferrario, Gabriele Salvatores, Enzo D’Alò, Terry Gilliam). Difficile definire la sua musica, sempre in bilico tra reggae, folk, world music, jazz, rock, fusion, blues, musica classica. Una sua caratteristica costante è il modo quasi “zappiano” di affrontare la scrittura e l’arrangiamento. Daniele Sepe così definisce il proprio stile: “La musica è fatta di tante cose molto diverse fra di loro. Così come un regista, pensa a Kubrick dall’horror alla fantascienza ad un film storico tutti fatti bene, io spero di fare cose molto diverse fra di loro e tutte fatte bene”.