«Ciò che dà maggior soddisfazione a uno storico dell’arte come me è la scoperta di ciò che era stato sommerso dall’oblio, come mi è successo all’abbazia di Cava dei Tirreni, dove mi sono imbattuto nella tavola di una Madonna con bambino di Cesare da Sesto, un capolavoro che mi ha dato felicità». Sgarbi ha trovato anche i soldi per farlo restaurare: «Il mio soggiorno a Salerno lascerà la traccia onirica de La vedova allegra e quella dell’ultimo allievo di Giotto. Un Pittore meraviglioso, ma finora misconosciuto. Dalla visita a Cava sono uscito con questa felice preda».
Il critico ha lodato anche il museo diocesano di Salerno («però è dolente che dopo 40 di sodalizio la sua strada si separi da quella della Sovrintendenza») nonchè la cripta della cattedrale di Belisario Corenzio: « dipinge come un Tintoretto, maestro di bellissimo disegno, fa una sorta di composizioni teatrali». Al museo diocesano lo hanno folgorato soprattutto le 67 formelle d’avorio, sorta di reliquiari medioevali, racconto di dettagli della quotidianità. «Sono tra i capolavori dell’umanità» sostiene Sgarbi che fa coincidere l’inizio della sensibilità moderna con gli avori di Salerno, realizzati tra il 1090 e il 1140: «Si sente la presenza dell’uomo, la sua vita». Ma della città Sgarbi apprezza anche il Convento di San Giorgio chiesa barocca, e San Pietro in corte, che ha lo stesso motivo dei chiostri di Ravello.
«La vostra è una grande città che non mostra decadenza del meridione: grazie alle sue buone amministrazioni, Salerno è una Napoli felice, una Napoli non umiliata, anche le luci d’artista la rendono una città felice. Credo che sia una cosa felice essere di Salerno e viverci. Molti luoghi del Nord, sono meno vivi e meno ben tenuti di Salerno, «bisogna dirlo a Matteo Salvini» ha scherzato.