«A quel punto avevo davanti a me due strade. La prima: seguire i miei maestri e, quasi per inerzia, cercare di arrivare all’assunzione in un’università pubblica. Oppure la seconda: fare tutto da solo e guardare fuori. Avevo già intuito che l’Italia era un Paese ingessato, con un sistema universitario che mi avrebbe tenuto in uno stato di immobilità per anni» racconta Borea al Sole 24 Ore. Secondo un rapporto Censis, in Italia si diventa titolari di una cattedra universitaria all’età del prepensionamento: 59,4 anni in media. I ricercatori, la categoria più penalizzata, con un’età media di 45,9 anni, hanno scarsissime possibilità di fare carriera nel breve termine, perché il sistema è saturo. «Ho scelto cosi di muovermi. Grazie al Web ho consultato il ranking delle università mondiali e inviato curriculum a 20 facoltà in America Latina, Europa e Paesi Arabi» racconta Borea.
Arrivano colloqui, interviste, qualche porta in faccia («le aspettative di chi valuta un italiano sono basse, almeno nel mio settore»). Poi l’interesse concreto della Royal University del Bahrein, istituzione d’elite nel mondo arabo. «Bahrein? Paesi Arabi? Ho pensato che non facesse per me. Poi mi sono detto, è un posto come un altro e se proprio non va, almeno ci ho provato. Dopo un colloquio a distanza, l’Università mi ha convocato per la selezione. Dovevo simulare una lezione in lingua inglese, su un tema estratto a sorte e avevo un’ora per prepararla».
Fatta la prova, Pasquale rientra nella sua Salerno. In testa un mare di dubbi. In programma ha un matrimonio. Ma poco tempo dopo, arriva la proposta dal Bahrein: contratto con rango di Professore Associato nel settore Diritto Internazionale per 2 anni, soggetto a rinnovo dopo la valutazione della performance. Ha 31 anni. «Sono partito a dicembre, da solo. Sono tornato a luglio, esattamente 7 giorni prima del mio matrimonio e rientrato in Bahrein ad agosto con mia moglie per un trasferimento di lungo periodo. Nove mesi dopo è nato in Bahrein nostro figlio Leo. Non è stato facile. I Paesi Arabi sono una realtà complessa. Molto diversa dalla nostra. L’impatto è stato duro, a partire dal clima che da maggio a ottobre tocca i 45 gradi. Gli arabi hanno una mentalità diffidente, che ti mette alla prova, devi essere tu a dare prima di chiedere, vogliono garanzie in termini di risultato e di affidabilità. Ma – sorpresa- ho trovato un ambiente accademico più avanzato di quello italiano.
Per conseguire la laurea, gli studenti devono fare una doppia Internship di 300 ore: una in un’istituzione pubblica (Corte Suprema, Procura Generale, Parlamento) e l’altra in aziende private. Poi spesso arriva l’assunzione. Quando ho frequentato l’Università in Italia non ho mai sentito parlare di Internship o di contratti di lavoro appena dopo la laurea. C’è di più. Qui c’è un controllo ossessivo della qualità, della docenza e delle pubblicazioni. Tutto viene monitorato da un sistema interno all’università e dal Ministero dell’istruzione che esegue controlli a tappeto su tutte le università. Se qualcosa non funziona, le fa chiudere. Se lavori bene e produci, va avanti. Altrimenti, vai a casa. Qui a 65 anni ti mandano in pensione (in Italia puoi arrivare a 72-74anni), che significa che se vuoi puoi ancora lavorare, ma senza stipendio. Un professore associato prende il 30% in più netto rispetto a un professore in Italia, ha un contributo per la casa, un’assicurazione sanitaria e un bonus per i suoi progetti di ricerca e per le pubblicazioni. Nel nostro Ateneo ci sono docenti di 19 nazionalità diverse. Perché in Bahrein, una volta che hai dimostrato di lavorare sodo e di produrre risultati, le porte si spalancano e la fiducia è totale. Guai a tradirla, però».
Eletto recentemente preside (Dean) della facoltà di legge, Borea ha un contratto rinnovato per altri 3 anni. Ma se non rispetta il 70% degli obiettivi del suo strategic plan può essere licenziato. «E’ un incarico molto diverso da quello dei nostri presidi di facoltà. Oltre a essere professore full time, il Dean è un manager, responsabile del bilancio della facoltà, assume docenti, ricerca fondi, è presente in facoltà 10 ore al giorno per 5 giorni la settimana, risponde ai suoi superiori. Si aspettano da te proposte, innovazione, crescita della reputazione dell’Università nel paese. Non esistono contratti a tempo indeterminato. Ogni sei mesi ti vengono a chiedere conto del tuo operato».
Lavora nell’unica università del Regno che offre il 65% dei corsi in inglese («quante università in Italia hanno corsi in inglese?») e prepara quella che sarà la futura classe di avvocati e funzionari. «Qui la donna ha una posizione migliore rispetto al resto dei Paesi arabi, ma le donne magistrato, procuratore o avvocato si contano ancora sulla punta delle dita. Il 50% delle mie studentesse vuole intraprendere le professioni legali in Bahrein. Ma studiano in inglese e sono preparate per lavorare in un ambiente internazionale o per proseguire gli studi post-laurea in Europa e in America».
Fonte www.ilsole24ore.com