Particolarmente polemici i toni del deputato pentastellato Luigi Gallo che, attraverso una risoluzione in Commissione Cultura, sintetizza tutte le mancanze della riforma Franceschini ed in particolare l’assenza di una normativa che riconosca la nuova figura professionale dei Manager Culturali. “Il settore culturale italiano – ha dichiarato Gallo – ha mostrato negli ultimi anni la necessità di rinnovarsi per affrontare le nuove sfide contemporanee. Una necessità che Franceschini non è stato di centro in grado di cogliere.
Il ministro continua a snobbare la qualità della formazione delle nostre università italiane e non si impegna a riconoscere l’importante figura degli economisti della cultura italiani, giovani, professionisti e totalmente dimenticati da Franceschini. Questa riforma rischia unicamente di gettare le fondamenta per dare in pasto ai privati e agli appetiti stranieri uno delle poche ricchezze italiane che non possono essere imitate e delocalizzate: i musei e i luoghi di cultura italiani”.
Scopo della risoluzione è quello di impegnare il Governo a riconoscere queste nuove figure professionali, ovvero i laureati in Scienze Economiche per l’Ambiente e la Cultura e che al momento risultano escluse anche dai concorsi pubblici dello stesso MIBACT e dal procedimento di selezione per accedere al Tirocinio Formativo per l’abilitazione all’insegnamento.
“Il riconoscimento delle professioni culturali – ha aggiunto Gallo – non può riguardare le sole figure tradizionali degli archeologi, archivisti e bibliotecari ma deve interessare anche gli economisti della cultura , una figura che opera nel settore culturale attraverso una visione unitaria, superando la dicotomia tra teoria e prassi, che è ancora oggi alla base di molti esempi di cattiva gestione e causa di svilimento del patrimonio culturale italiano rispetto a quello degli altri paesi europei. E’ evidente che l’Italia dovrebbe cominciare a pensare alla valorizzazione dei beni culturali in chiave strategica, cercando di ridurre il gap circa la gestione del patrimonio culturale che ancora ci separa dal resto d’Europa”.