“La banalità del male”: con questo titolo Hannah Arendt pubblicava nel 1963 un saggio in cui, nel descrivere il processo al gerarca Adolf Eichmann, dimostrava come spesso gli artefici della Shoah fossero inconsapevoli del significato delle proprie azioni. Talora un calcolo politico, talaltra interessi economici; talora ideologie insulse, talaltra l’affermazione della Nazione egemone: varie ragioni possono muovere mani assassine. Ma sempre esse riescono nel loro intento grazie ad un’unica e onnipresente condizione: l’indifferenza, la banalità, la superficialità, il disinteresse.. Ricordare, riflettere, come tutti noi facciamo oggi – conlude Galdi – è l’unico vero presidio contro questo male della coscienza: la nostra, ora, qui, senza andare troppo lontano”.