Michele Boninconti ha messo in piedi un “castello di menzogne” e ha posto in essere “vani tentativi di depistaggio” per allontanare da se il sospetto di aver ucciso la moglie Elena Ceste. Lo scrive il Gip di Torino sottolineando che “la condotta dell’indagato dimostra che la scomparsa ed il successivo ritrovamento del cadavere…non sono stati il frutto di accadimenti accidentali né di scelte estreme volontariamente intraprese” dalla donna, “ma sono ascrivibili ad un evento del tutto estraneo alla sua sfera di dominio”. Il movente dell’omicidio di Elena Ceste da parte del marito “va ricercato nell’odio maturato nel tempo”. Lo scrive il gip Giacomo Marson, del tribunale di Asti, nell’ordinanza di custodia cautelare per Michele Buoninconti. L’uomo, secondo il giudice, riteneva che Elena “fosse una moglie e una madre inadeguata”, nonché “una donna infedele e inaffidabile dedita a coltivare rapporti virtuali con il computer e, quindi, ‘da raddrizzare'”.