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L’Espresso titola: De Luca sfida Caldoro contro tutto e tutti

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Decaduto. Condannato. A rischio sospensione. Con molti nemici. Al potere dal ’93. De Luca affronta con veemenza la battaglia elettorale campana che si concluderà il 31 maggio. E punta a essere nella sua regione quello che Renzi vuole essere per l’Italia. Comincia così un lungo articolo a firma di Marco Damilano e pubblicato su l’Espresso.

Ecco alcune parti dell’articolo: Staff all’americana, tutti under 40, piante, biciclette, computer, il candidato De Luca si muove con il piglio più congeniale, quello del caterpillar. Uno schiacciasassi che a Salerno ha spianato avversari e amici. Come le ruspe che gli piacciono tanto e che hanno trasformato la città. Il panorama che si vede scendendo dall’autostrada da Napoli verso il mare. Gru dappertutto. In periferia. Intorno al porto. Accanto al fiume Irno. Nel centro storico. La sua impronta più visibile. «La mia forza è il radicamento. Il rapporto di sangue con una comunità», scandisce De Luca. E di sangue e di altra nobile materia, come diceva il socialista Rino Formica, è impastata la politica in Campania, la seconda regione italiana per popolazione e anche la seconda più povera, superata solo dalla Calabria, con il tasso di disoccupazione al 21 per cento e quello giovanile che va oltre il cinquanta.

La sfida è fotocopia, la stessa di cinque anni fa, Caldoro contro De Luca, ma a parti invertite. Nei sondaggi il presidente uscente è ancora in testa, ma il vento spinge a favore dello sfidante salernitano.
Bisogna guardarlo da vicino il deluchismo per capire cosa succederà in Campania e forse in Italia. Con il paradosso del nuovo Pd renziano che alle primarie di tre settimane fa ha deciso di affidarsi a un politico di professione, eletto sindaco per la prima volta quando Matteo Renzi usciva dal liceo, per di più decaduto dalla carica, condannato in primo grado per abuso di ufficio e destinato a essere sospeso dalla carica in caso di elezione ai sensi della legge Severino. Un dinosauro della politica. Uno che ha già perso contro Caldoro cinque anni fa. Un impresentabile, si sarebbe detto in altri tempi.

E invece perfino i nemici dichiarati pronosticano una vittoria: «Il Pd ha sbagliato tutto», accusa il deputato salernitano Guglielmo Vaccaro, che contro l’ex sindaco due anni fa armato di un materassino preso in prestito dai figli occupò la sede provinciale del partito. «Primo errore: hanno pensato che De Luca si sarebbe fermato di fronte alle condanne, e invece si è ringalluzzito. Secondo errore: in regione i notabili avevano trovato l’accordo per far saltare le primarie e candidare l’ex ministro Luigi Nicolais, e invece a Roma quel grande stratega di Matteo Orfini ha convinto Renzi che nei gazebo avrebbe vinto Andrea Cozzolino, si è visto com’è andata. Ora aspettano che succeda qualcosa: una nuova condanna, una candidatura alternativa. Ma De Luca andrà avanti».

Sulla legge Severino il candidato ha già centrato il suo obiettivo: trasformare la sua vicenda personale in un caso nazionale. L’opportunità di modificare la legge nel punto che prevede la sospensione per gli amministratori condannati in primo grado è stata riconosciuta, con qualche incertezza, dal presidente dell’anti-corruzione Raffaele Cantone. De Luca incassa il risultato. Sembra un samurai che affila la katana, la spada: «La mia è una battaglia di civiltà democratica. Dobbiamo chiudere una stagione in cui un qualunque atto giudiziario e una qualunque campagna di opinione pubblica potevano ribaltare la volontà popolare. Sono stato condannato per un reato linguistico dopo otto anni di indagine per un esposto anonimo. L’Italia è morta se tra il groviglio amministrativo e il codice penale c’è la paura della firma, nessuno fa più nulla».

 

Il secondo elemento del deluchismo è il dogma del fare. Costruire, edificare. Ossessione incomprensibile ad altre latitudini, ma qui è un’altra storia e De Luca va fiero delle sue realizzazioni, come il porto turistico di Santiago Calatrava o la riapertura del teatro Verdi con la direzione del maestro Daniel Oren. Nonostante le molte incompiute. Il palazzetto dello sport che doveva nascere accanto allo stadio Arechi è un cimitero di cemento armato immerso in acqua putrida e invaso dai rovi. L’ex pastificio Amato che doveva diventare una residenza di lusso è uno scheletro disabitato in mezzo a una discarica di buste, scatole, copertoni, vasche da bagno e l’ex presidente del Monte dei Paschi di Siena Giuseppe Mussari è stato rinviato a giudizio per l’inchiesta sulla vendita dell’immobile.

Il tribunale nel cuore della città progettato da David Chipperfield, la prima pietra fu posata di fronte a D’Alema premier alla fine degli anni Novanta, è una cattedrale disabitata. Il simbolo dell’era De Luca, il Crescent, il gigantesco edificio residenziale a mezzaluna disegnato dall’architetto catalano Ricardo Bofill che circonderà la nuova piazza della Libertà, la Tienanmen del grande timoniere salernitano, è un enorme cantiere sul mare. «Completeremo tutto in un anno e mezzo», assicura De Luca. «Siamo stati bloccati dal comitatismo che è uno pseudo-ambientalismo. L’unico stop che riconosco è quello del palazzetto, i lavori si sono fermati perché l’impresa di costruzione è fallita». E rivendica i risultati del suo buon governo: il centro storico, la sicurezza, il 70 per cento di raccolta differenziata, primato nel Sud, la rete degli asili nido che lancia Salerno tra le prime cinque città italiane, il piano di energie rinnovabili, la gestione spartana dei costi della politica.

L’essenza del deluchismo è proprio la miscela di vecchio e di nuovo, il suo presentarsi come arcaico e modernizzatore. «Può non piacere il suo stile tribunizio», spiega il politologo Mauro Calise. «Ma la sua battaglia per la buona amministrazione non paralizzata dai veti è positiva. In questo la Campania rappresenta un laboratorio nazionale. Una prova per vedere se il messaggio può funzionare nel resto del Paese. Anche per Renzi».

Come Renzi, De Luca in Campania si muove nel vuoto della classe dirigente. Il nuovo Pd non esiste, doveva interpretarlo Gennaro Migliore e si è dileguato. A destra Caldoro deve far dimenticare cinque anni di immobilismo, la devastazione del sistema dei trasporti, fiore all’occhiello di Bassolino, la cattiva gestione dei fondi europei. Sul piano politico c’è la frana di Forza Italia. E c’è la galassia centrista in agitazione. L’uomo forte dell’Ncd in regione è il sottosegretario Gioacchino Alfano. La sfinge Ciriaco De Mita ancora non si è espresso, per invogliarlo, forse, la regione di Caldoro ha appena stanziato cinque milioni di euro per il comune di Nusco del vecchio leader. I collettori dei voti, tipo Pasquale Sommese traslocato da Bassolino a Caldoro, valutano il da farsi.

Il segretario dell’Udc salernitano Luigi Cobellis si è già spostato, entra e esce dal comitato De Luca dove si è presentato anche l’ex sfidante delle primarie Cozzolino con le sue truppe a disposizione. I gruppi di pressione cominciano a schierarsi. Il tam tam segnala De Luca in difficoltà nel mondo della sanità e tra gli imprenditori, in ripresa nel potentissimo mondo universitario, nonostante l’ex rettore della Federico II Guido Trombetti sia assessore di Caldoro. E c’è l’incognita Caserta, come si muoverà quel che resta del sistema Cosentino. Vicienz’ aspetta. Per la campagna ha scelto una parola a sorpresa. Desiderio di cambiare, di non vedere più la Campania ultima nelle classifiche. Ma per lui, il combattente all’ultima guerra, il desiderio è sempre lo stesso. Lo accomuna al sindaco d’Italia che governa da Roma. Vincere.

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