«Tu sei Pietro e su questa pietra edificherai la mia chiesa». Mai più importante missione, nella storia, fu portata a termine con successo. Dopo due millenni, lo straordinario messaggio diffuso da quei pescatori di Galilea è più vivo che mai, specie nei piccoli villaggi del Sud, con il folklore delle tradizioni legate alla fede, fatte di Santi in processione, marce sinfoniche, artifizi pirotecnici. Cetara è pronta a festeggiare San Pietro, il patrono di quest’angolo di paradiso in terra di cui comunque custodisce le chiavi.
Numerosi i turisti, provenienti da ogni dove, che lo scorso fine settimana non hanno rinunciato a un bagno rilassante e ai piatti della tradizione locale rivisitati dai raffinati ristoranti gourmet del centro. Le tonnare della flotta di Cetara, tra le migliori d’Italia nella pesca del tonno rosso, sono rientrate da pochi giorni dopo un mese di duro lavoro nelle acque tra la Sicilia e Malta. Ottimo il pescato, si lavora alla trasformazione in loco. Si ringrazia San Pietro e si invoca, all’Europa, l’aumento della quota di pesca del tonno per le imbarcazioni che utilizzano il sistema a “circuizione”.
Cetara, come il resto dei paesi della Costa Amalfitana, affascina col suo variopinto abitato, dominato dalla torre vicereale, sentinella d’identità locale, che circonda la chiesa madre, da cui i rintocchi orari delle campane ancora scandiscono i meriggi di questo inizio d’estate. Ma qui, rispetto al glamour di Ravello, Amalfi e Positano, non ci si è mai cullati sugli allori. La vera forza di questo paese sono stati i suoi abitanti: gente coriacea, in prevalenza pescatori di antichissima tradizione, capaci di far riscoprire al mondo il prezioso garum romano. I figli di quei pescatori oggi sono ottimi trasformatori del pescato e ristoratori, i primi ambasciatori della tradizione marinara cetarese a tavola, coloro i quali, attraverso l’intraprendenza ereditata dai padri, negli ultimi due decenni hanno reso celebre la colatura d’alici e il tonno di Cetara tanto invidiato persino dai maestri giapponesi.
I ristoranti d’eccellenza (Acquapazza, Al Convento, San Pietro, La Cianciola su tutti) sono presenti sulle migliori guide di settore e con le attività di esportazione del pescato producono economie importanti per numerose famiglie. Popolo orgoglioso quello cetarese che, come già detto, preferisce rimanere lontano dai riflettori a cui la Divina Costiera è oramai abituata. Gli unici bagliori sono di questi giorni, dati dalle artistiche luminarie per le vie del centro in occasione dei solenni festeggiamenti patronali che quest’anno salutano anche un ritorno illustre. Vincenzo Torrente torna nel suo paese, che lasciò trent’anni fa, a soli 19 anni, per quella chiamata all’ombra della lanterna, sponda rossoblù.
Del Genoa degli anni ’90 è stato poi bandiera, condottiero, mostrando in campo le doti del cetarese autentico. E’ tornato a casa il figliol prodigo, da allenatore della squadra della città capoluogo, quella Salernitana tornata in serie B dopo anni d’inferno, per portare il suo bagaglio d’esperienze, il suo carattere, la sua stoffa. Qui i più giovani lo hanno conosciuto dalle figurine dell’album Panini dalla cui scheda sono stati orgogliosi di leggere “nato a Cetara”. Come per Francesco Giordano, il titolare dell’edicola “La rosa dei venti” che dopo aver venduto tutti i giornali, in questi giorni, attende, con la sua bambina, di stringere la mano al mister.
«Vincenzo? E’ come la roccia della Costiera», parola di suo fratello maggiore Pasquale. “Scherza coi fanti ma lascia stare i santi” recita un vecchio adagio, ma ci piace immaginare che Lotito abbia scelto Torrente proprio per edificare la sua nuova Salernitana. Sulla roccia, quella della Costa d’Amalfi, scavata nelle ere geologiche soltanto dagli inesauribili torrenti che sfociano in quel mare, tra i più belli al mondo.
Ma chi meglio di suo fratello maggiore può parlarci di lui, del suo carattere, della sua storia? Siamo andati a trovarlo presso il ristorante “Al Convento”, nel cuore di Cetara, che gestisce con successo. Poco distante i tifosi hanno esposto uno striscione: “Di Torrente contenti ma dai granata dipendenti”. «Tutto è partito da qui – racconta Pasquale – mia madre portava avanti il punto di aggregazione sportiva e mio padre era il presidente della Cetarese. Io giocavo in attacco e Vincenzo naturalmente in difesa, in prima categoria. Andai alle giovanili della Cavese e lui alla Nocerina. Prese parte a un raduno di Under 21 e fu visionato dal mitico Ferruccio Valcareggi (allenatore dell’Italia Campione del mondo del 1970 nda) che lo segnalò al dirigente del Genoa Spartaco Landini».
Dal 1985, a soli vent’anni, Torrente fu il primo calciatore della Costiera Amalfitana a vestire la maglia di un club di serie A e del quale è stato bandiera per quindici anni consecutivi con 412 presenze nella massima serie. Pasquale ci mostra con orgoglio le foto e ritagli di giornale che espone all’interno del suo locale che parlano soltanto di Vincenzo. Sono numerosi, ma quello a cui tiene di più è senza dubbio lo scatto del campionato 1989-90 con Vincenzo che in Genoa-Napoli (1-1) al Ferraris tiene a bada Diego Armando Maradona. Era l’anno del secondo scudetto.
«Vincenzo è un gran lavoratore, uno testardo, poche chiacchiere e tanti fatti, somiglia a mio padre e a mio figlio Gaetano» dice con orgoglio Pasquale, che si definisce più estroverso e che oggi è consulente della linea dei fritti per Eataly, la catena di punti vendita di prodotti italiani di alta qualità di Oscar Farinetti. Allora la curiosità si trasferisce, solo per un attimo, su questa attività. «Per tutti i prodotti fritti dei punti vendita Eataly – ci spiega – da Roma a Dubai, a Istanbul, ho brevettato un nuovo olio per frittura, a base di semi di girasole con totale assenza di olio di palma, sostituito da olio essenziale di rosmarino, tipico della nostra macchia mediterranea e la resa è superiore».
Famiglia ingegnosa quella dei Torrente, sempre legata al territorio. E quando porgiamo a Pasquale la più scontata delle domande, cioè emotivamente come suo fratello affronterà l’impegno alla guida della squadra del capoluogo della sua provincia, risponde senza mezzi termini: «Alla conferenza stampa di presentazione era davvero emozionato. Poche volte l’ho visto così, proprio lui, uno tosto, che non si piega di fronte a nulla. Questo è per lui un momento di svolta, fare bene a Salerno è importante per il prosieguo della sua carriera. Scordatevi (rivolto ai giornalisti nda) conferenze stampa o interviste prolisse. Lui è uno a cui piace parlare sul campo, è uno che pensa solo a lavorare perchè ci mette la faccia».
E a tavola? «Vincenzo ama molto le seppie con le patate, una ricetta che nel resto della Costiera si fa col totano. Il pesce di Cetara è oramai famoso ovunque e stiamo valorizzando il tonno alletterato che un tempo veniva scartato dai pescatori perché ritenuto non pregiato. Oggi è richiestissimo. Ah dimenticavo, Vincenzo gradisce molto anche il calamaro ripieno che faceva sempre mamma».
Giovedì scorso, appena giunto a Salerno, è tornato a Cetara per salutare i genitori. Toccata e fuga. «E’ venuto a casa per salutare mamma e papà, emozionatissimi ed orgogliosi di lui. Gli hanno augurato i migliori successi, come sempre». Sì, il presidente di quella squadra di dilettanti del piccolo borgo della costa salernitana di inizi anni ’80 che di domenica portava suo figlio al Vestuti a vedere i granata, nel riabbracciare il suo campione che già da giocatore aveva dimostrato tutto il suo talento, è stato ancor più fiero di saperlo alla guida della Salernitana che tutti, a partire da Cetara, vorrebbero potesse riportare in serie A. Anche questa è una missione di fede e ora bisognerà pescare gli uomini giusti. Perché mai come stavolta il Paradiso non può aspettare. Nemo propheta in patria si potrebbe dire: ma Vincenzo ha il duplicato delle chiavi, questo San Pietro lo sa.
Emiliano Amato Il Vescovado.it (Le Cronache)
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