Ha anche accettato di eliminare l’EKAS, un assegno integrativo per pensionati indigenti entro il 2018, sostituendolo con un altro strumento che però non ha ancora chiarito quale dovrebbe essere. L’EKAS contribuisce a portare il reddito minimo di circa 200 mila pensionati greci a circa 700 euro al mese (per fare un confronto, le pensioni minime in Italia sono di circa 500 euro al mese). Insieme alle pensioni, il tema più problematico per le trattative è quello dell’IVA. Il governo greco ha proposto di spostare tutto il cibo nella fascia di IVA del 13 per cento, da quella del 23 per cento dove si trova ora. Ha chiesto anche che gli hotel vengano spostati nella fascia di IVA del 13 per cento per aiutare l’industria turistica del paese. Il governo greco ha anche chiesto la creazione di un’aliquota al 6 per cento al posto delle sole due da 13 e 23 proposte dall’Europa.
Su altri fronti, il nuovo piano presentato da Tsipras ha eliminato alcune concessioni fatte in passato. Ad esempio è stata ripristinata la richiesta di mantenere un’esenzione del 30 per cento sull’IVA pagata dagli abitanti delle isole greche, un tema molto caro ai Greci Indipendenti, la formazione di destra che appoggia il governo Tsipras. La ragione dell’esenzione è che la vita in molte delle isole greche più lontane dalla terraferma è più costosa che nel resto del paese. Il piano contiene anche molte altre misure, come ad esempio un aumento della tassazione sul gioco d’azzardo, sui beni di lusso e diverse altre entrate una tantum. Infine, Tsipras si è rifiutato di tagliare la spesa militare di 400 milioni di euro, come chiesto dai creditori, e ha proposto un taglio di soli 200 milioni.
Per quanto riguarda le pensioni, i creditori hanno chiesto l’eliminazione dell’EKAS (e non la sua “sostituzione”) entro il 2019, concedendo un anno di tempo in più rispetto alla richiesta precedente. Sulla data in cui l’età pensionabile dovrà essere portata a 67 anni, invece, creditori e governo greco hanno più o meno trovato un accordo sul 2022, anche se ci sono ancora divisioni su aspetti secondari della questione. I creditori hanno anche accettato l’aliquota IVA al 6 per cento in cui dovrebbero finire prodotti farmaceutici, libri e biglietti del teatro: hanno inoltre accettato che l’energia elettrica rimanga nell’aliquota “di mezzo”, quella al 13 per cento. Chiedono però che il cibo “processato” e i ristoranti siano tassati con l’aliquota al 23 per cento.
Infine i creditori hanno mantenuto la proposta di una tassa sui beni di lusso, ma hanno escluso la possibilità di mantenere uno sconto IVA alle isole. La ragione, sostengono, è che gli abitanti delle isole greche hanno in media redditi molto elevati. Non è ancora chiaro come si svolgerà il referendum e cosa sarà chiesto ai greci esattamente, ma è probabile che questo piano proposto dai creditori sia la versione finale, o quasi, di quello che la Grecia dovrà accettare se al referendum dovessero vince i “sì” all’accordo.
In sintesi. I programmi presentati dal governo greco sono più centrati sull’aumento di tasse, quelli dei creditori puntano più ai tagli di spesa, ma nessuno dei due contiene un piano di riforme organiche per cambiare la Grecia. Come ha scritto l’analista finanziario Mario Seminerio sul Sole 24 Ore, nel corso della trattativa entrambe le parti hanno presentato soltanto «manovre correttive contabili» che servivano principalmente a risolvere a breve tempo la situazione del paese. Senza avere un’ottica di lungo periodo, i problemi strutturali della Grecia, come l’inefficienza della pubblica amministrazione, l’elevatissima evasione fiscale, l’immobilità del mercato del lavoro, resteranno inalterati rendendo molto complicato al paese riprendere a crescere.