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Concordia: giudici, con inchino Schettino si sopravvalutò

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“Nel momento in cui l’imputato lasciava definitivamente la Concordia”, la situazione era tale “da rendere impossibile, o comunque

difficile”, per i passeggeri ancora a bordo “trovare la salvezza”. E’ scritto nelle motivazioni della sentenza con la quale è stato condannato a 16 anni l’ex comandante della Concordia Francesco Schettino.

L’allora comandante della Concordia Francesco Schettino quando salì “sulla scialuppa per abbandonare la nave” sapeva che “c’erano altre persone a bordo della nave”. Lo scrivono i giudici di Grosseto nelle motivazioni della sentenza spiegando che lo fece “per mettersi in salvo con la precisa intenzione di non risalirvi”.

“I 32 decessi delle persone a bordo della Concordia non si sarebbero verificati se” l’allora comandante Francesco Schettino “avesse gestito l’emergenza con perizia e diligenza”, attenendosi alla normativa indicata come “doverosa” in una simile situazione. Lo scrivono i giudici nel motivare la condanna per omicidi colposi nei confronti dell’ex comandante della Concordia Francesco Schettino.

Il comandante della Concordia Francesco Schettino “sapeva benissimo della presenza incombente degli scogli” ma era “sicuro di poter condurre l’azzardata manovra con tranquillità”, sopravalutando le “sue abilità marinaresche”. Lo scrivono i giudici del tribunale di Grosseto parlando dell’inchino.

Schettino, aggiungono i giudici, decise di farlo non per ragioni commerciali né per omaggiare l’ex comandante Mario Palombo, ma “per fare un piacere” al maitre Antonello Tievoli “e per omaggiare alcune persone che, non a caso, ha fatto salire in plancia per ammirare il paesaggio assai ravvicinato alla costa”.

Quando Schettino torna in plancia, ricostruiscono i giudici, c’erano Tievoli, “destinatario dell’inchino” e l’hotel director Marrico Giampedroni, “invitato da Schettino”. Con Schettino “entrano in plancia Ciro Onorato e la signora Cemortan, la quale tuttavia rimane in disparte”, aggiungono i giudici. Schettino aveva cenato con Domnica, ricordano i giudici: “aveva prenotato un tavolo per due persone”. Durante la cena aveva chiesto di rallentare la velocità della nave per “ritardare l’inizio dell’accostata” perché voleva “avere il tempo per finire con tranquillità la cena, come riferito dalla stessa Cemortan” che – ha raccontato a processo – stava finendo il dessert.

La “vera intenzione del comandante era “effettuare un passaggio radente davanti al porto, dove si trova la casa di Tievoli”: lo scopo era “stupire non solo il comandante Palombo”, con cui non aveva un rapporto idilliaco, “ma i suoi ospiti fatti salire per l’occasione sulla plancia”.

“La scelta, si passi il termine, criminale è stata quella a monte di portare una nave, con quelle caratteristiche e a quella velocità, così in prossimità dell’isola”. Lo scrivono i giudici parlando dell’inchino nella sentenza con cui è stato condannato Francesco Schettino. “La responsabilità del naufragio è pertanto di Schettino”.

Nei giorni scorsi Schettino era stato a Salerno per presentare il libro “Le verità sommerse” (ed. Graus) sul naufragio della “Concordia” .In quella occasione disse che “non avrebbe risposto a domande inerenti le carte processuali, ma solo su argomenti inerenti il libro”.Una scelta non condivisa né dal pubblico né dai relatori tra cui l’avvovato salernitano Michele Tedesco riuscendo a far cambiare idea al comandante che sull’argomento processuale disse:   “Ho scelto di comportarmi come ho fatto – affermò Schettino a Salerno – perché non potevamo certo fare la conta, quella notte, di oltre cinquemila passeggeri. In ogni caso ho fatto scendere dalla Concordia oltre 4800 persone. Se non avessi fatto quello che ho fatto, staremmo ancora a fare la conta della gente. Sono ancora oggi – aggiunge – spinto e motivato solo da una cosa, nonostante siano trascorsi tre anni: onorare le vittime e far capire cos’è realmente successo”.

 

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