La preoccupazione delle Regioni nasce dalle conseguenze della legge di stabilità che quest’anno ha reso cogente per le 15 regioni a statuto ordinario e per la Regione autonoma della Sardegna la normativa sul pareggio di bilancio (prevista dalla legge 243/2012). Le Regioni stanno sperimentando la logica stringente, ma soprattutto la farraginosità e la complessità della normativa sul pareggio di bilancio. Basti considerare che sono ben quattro, ma diventano otto se consideriamo anche la sanità, gli obiettivi imposti alle Regioni. E’ infatti previsto un saldo non negativo tra le entrate e le spese (sia quelle finali che quelle correnti) sia sulla competenza che sulla cassa. E tali obiettivi devono essere calcolati sia nel bilancio preventivo che in quello consuntivo dal prossimo anno anche per tutti gli Enti locali.
Per questo è opportuno andare ad unificare, peraltro in coerenza con quanto riportato nella legge di stabilità, il pareggio in sanità e extra-sanità. C’è poi un discorso di equità istituzionale che andrebbe considerato. Infatti agli Enti territoriali, a differenza di quanto stabilito per quelli non territoriali, è inibito l’utilizzo dell’avanzo di amministrazione. Così come andrebbe riconsiderato per le spese di investimento il sostanziale divieto di finanziamento del bilancio con il debito previsto solo attraverso una procedura così complessa che di fatto determina il blocco delle politiche di investimento. Le ripercussioni negative sulla crescita sarebbero ancora più gravi per le regioni del Mezzogiorno, per le quali l’andamento del PIL in questi anni è stato davvero disastroso. E per le quali il blocco degli investimenti per Regioni ed Enti Locali significherebbe precludere ogni possibilità di ripresa, con ripercussioni deleterie sull’andamento dell’intero PIL nazionale.
In particolare occorre sterilizzare il cofinanziamento nazionale (quota stato e regioni) relativo alla programmazione comunitaria ai fini del calcolo del pareggio, così come sarebbe opportuna la sterilizzazione, almeno entro un certo importo, delle spese di investimento in altri assi strategici per il Paese come, ad esempio, difesa del suolo ed edilizia scolastica. Poiché il Governo ha già chiesto all’Unione Europea, con il documento programmatico 2015, il posticipo al 2017 dell’entrata in vigore delle norme per quanto riguarda il pareggio di bilancio dello Stato e poiché è probabile la richiesta di un ulteriore slittamento al 2018, le Regioni ritengono importante affrontare la questione in modo concertato perché diversamente tali obblighi riguarderebbero solo gli Enti territoriali che sono peraltro, nelle Pubbliche amministrazioni, quelli che investono maggiormente.
Secondo l’ufficio di presidenza della Conferenza delle Regioni è opportuno ed urgente, – così come sottolineato in una lettera che il presidente Sergio Chiamparino ha già mandato il 30 luglio all’attenzione del presidente del Consiglio Matteo Renzi, e del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – cogliere l’occasione della richiesta di posticipo che il Governo ha fatto all’Unione Europea per quanto riguarda il bilancio dello Stato per armonizzare e semplificare il meccanismo degli obiettivi del pareggio di bilancio. A partire, oltre ai correttivi sopra esposti, dalla necessità di considerare un unico saldo (facendo riferimento alla “competenza potenziata” prevista dalla dlgs. 118/2011 che ha armonizzato i bilanci di Regioni, Comuni e Città metropolitane). Tutto ciò in considerazione del fatto che le grandezze sottoposte al controllo dell’Unione Europea sono in fondo solo due: stock del debito e variazione del deficit.
Insomma le Regioni, tra l’altro, vogliono essere sottoposte al giudizio sul pareggio di bilancio sulla base degli stessi criteri che tale giudizio prevede per lo Stato, ovvero semplicemente il rapporto deficit/PIL. Per questi motivi le Regioni propongono al Governo una sorta di patto istituzionale sugli obblighi per il pareggio di bilancio a tutela del “sistema paese”, con l’obiettivo di snellire le procedure, rendere gestibili i bilanci, potenziare lo sviluppo e rilanciare gli investimenti. In caso contrario dal prossimo anno nessun Comune e nessuna Regione sarà in grado di fare un euro di spese di investimento con le conseguenti ripercussioni sul PIL e sullo sviluppo.