Stiamo denunciando da anni il fenomeno e di quanto sia diventato pericoloso con la nascita del caporalato etnico che aggiunge un’aggravante a questa attività criminosa, quella cioè di una vera e propria tratta di esseri umani che spesso, attraverso il sequestro dei documenti, si trasforma in riduzione in schiavitù.
L’abbiamo ripetuto nel convegno/denuncia non più tardi di due mesi fa, alla presenza del Prefetto e del Questore, oltre che alle forze dell’ordine e delle istituzioni preposte al controllo. In quella occasione abbiamo anche evidenziato nel dettaglio le modalità criminali di ogni singola etnia, e quella dei marocchini aveva proprio le caratteristiche riscontrate nell’azione dei carabinieri.
Gran parte del lavoro agricolo della Piana del Sele è in mano a circa un centinaio di caporali, in prevalenza marocchini e rumeni. Circa 10.000 braccianti stranieri sono sfruttati con orari che spesso superano le dieci ore giornaliere e con un salario di 25-30 euro. Il lavoro nero raggiunge un tasso che supera il 60% e che aumenta in maniera considerevole nei periodi delle grandi raccolte.
Riteniamo che la repressione sia uno degli strumenti vincenti per il contrasto all’odioso fenomeno del caporalato e auspichiamo che altri interventi si ripetano con lo stesso successo, ma ad esso va però affiancato un intervento istituzionale che punti a ripristinare una forma di collocamento pubblico in agricoltura che garantisca una gestione limpida del mercato del lavoro.
L’impegno deve vedere coinvolta tutta la comunità per recuperare alla legalità un territorio che, soprattutto nel settore dell’agricoltura, sembra diventato terra di nessuno.
Giovanna Basile Anselmo Botte
Segretario Generale FLAI-CGIL Segretario CGIL Salerno