In breve, si tratta di ripristinare il diritto all’opzione, escluso dall’ultima riforma, di una “pensione di anzianità. In ordine a tale proposta, le ipotesi allo studio sono diverse. In ogni caso, si vorrebbe consentire ad ogni lavoratore la possibilità di andare in pensione ad un’età anagrafica minima di 62/63 anni ed il possesso di un’anzianità contributiva minima di 35 anni.
E’ evidente che una qualsiasi ipotesi di reintroduzione di un’uscita “anticipata” dal sistema comporta un aumento della spesa per pensioni; e quindi una modifica in tal senso richiederebbe: un autofinanziamento di sistema (ovvero il mancato impiego di risorse aggiuntive, e quindi, in effetti, solo una sorta di manovra di redistribuzione all’interno del sistema complessivo di spesa) o un apporto al sistema di nuove risorse finanziarie aggiuntive, o entrambe le soluzioni.
Preventivamente, si tratta quindi di fare i conti con il bilancio dello Stato, e in particolare quanto ai relativi capitoli di spesa, e in definitiva con Bruxelles.
Pertanto, occorre innanzitutto precisare che la riforma-Fornero impegnò nel 2011 un piano di risparmi di € 80 miliardi da conseguire entro il 2020. E tuttavia, € 12 miliardi sono stati già spesi per la “salvaguardia” dei cosiddetti “esodati”. Ancora, la previsione degli 80 miliardi deve anche scontare la misura dell’importo scaturito dall’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015, relativa allo sblocco della perequazione dei trattamenti per gli anni 2012-2013, per una cifra complessiva di 18 miliardi.
Acquisito anche l’ok di Bruxelles in ordine a quest’ultima recentissima manovra, ne scaturisce che la previsione di risparmio originaria, già ridotta a 68 miliardi (80-12=68), scontata un’ulteriore riduzione di 18 miliardi, nel presente risulta stimata in 50 miliardi (68-18=50). E quindi: è o, meglio, sarà possibile (2015) una nuova riduzione del risparmio per allora (2011) stimato?
(Prima parte – segue) Angelo Giubileo