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Economia: La riforma dell epensioni – parte terza (di Angelo Giubileo)

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Gli scenari base, nazionale e europeo, relativi all’andamento della spesa pubblica per pensioni in rapporto al PIL possono essere analizzati mediante la suddivisione in tre archi temporali di un quindicennio circa ciascuno (2014-2029; 2030-2044; 2045-2060). Gli andamenti concordano per il primo quindicennio e divergono per il secondo e il terzo, in base ad una previsione europea, che in precedenza abbiamo mostrato meno favorevole.

Nel proprio Rapporto annuale (2014), La Ragioneria Generale dello Stato (RGS) scrive che “l’andamento (del primo periodo) è per lo più imputabile all’aumento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento e alla contestuale applicazione, pro rata, del sistema di calcolo contributivo. Per il resto, il rafforzamento della crescita economica, supportato sia dall’aumento dei tassi di occupazione che dalla dinamica della produttività, risulta sostanzialmente compensato dai primi effetti negativi della transizione demografica. Nei quindici anni successivi (2030-2044), il rapporto fra spesa pensionistica e PIL riprende a crescere in conseguenza dell’aumento del numero di pensioni. Tale aumento dipende sia dalle generazioni del baby boom che transitano dalla fase attiva a quella di quiescenza, sia dal progressivo innalzamento della speranza di vita …”.

Fermandoci qui, già se ne ricava che molteplici sono i fattori, tutti essenziali, che influenzano la misura del rapporto in questione (spesa pubblica per pensioni/PIL): I) numero di pensioni (già previste in aumento) II) sistema di calcolo delle prestazioni III) requisiti minimi di accesso IV) aumento dei tassi di occupazione V) aumento della produttività VI) transizione demografica negativa VII) aumento della speranza di vita.

Or dunque, la misura di accesso “anticipato” alla pensione (I, III), di cui principalmente si discute, senz’altro inciderebbe negativamente sul rapporto; ma, correttamente, potrebbe essere compensata da un aumento dei tassi di occupazione (IV) e/o della produttività (V) e/o da una riduzione degli importi (penalizzazione o prelievo) delle prestazioni da pagare (II).

Tanto premesso, allo stato attuale, non è quindi condivisibile la proposta dei maggiori sindacati, che vogliono reintrodurre il meccanismo opzionale di flessibilità in uscita ma allo stesso tempo innanzitutto non sostanziano alcuna proposta di creazione di nuovi spazi occupazionali e in più non acconsentono neanche a una o più misure di decurtazione degli assegni, quali una riduzione annua dell’assegno (proporzionale agli anni di anticipo della pensione rispetto ai limiti fissati oggi dalla legge-Fornero) e/o un contributo (proporzionale e progressivo) sulle prestazioni più alte (all’incirca € 3000/3500 netti al mese).


   (Terza parte – segue)  

Angelo Giubileo

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