Attraverso l’ascolto guidato di alcune delle sue partiture più rappresentative, saranno chiarificati i processi di sintesi attuati nell’ambito della scrittura strumentale e il controllo compositivo di sorgenti acustiche ed elettroniche. La musica di Tristan Murail è forse uno degli ultimi “grandi discorsi” sulla musica e sul suo ruolo sia estetico che, più genericamente, culturale. A patto di accettare l’idea che il lavoro del musicista contemporaneo, e dei compositori in particolare, sia spesso il frutto di pazienti analisi del suono mediante computer, sorvolando sull’immagine, ormai nostalgica, che vuole il musicista un’anima irrazionale e “romantica”, l’opera di Murail può corrispondere bene ad una sorta di ideale estetico almeno in questo senso: anziché dover scegliere tra l’universo acustico e quello elettronico, Murail ha insistito sulle zone intermedie tra la sintesi e la produzione strumentale (armonica), dove proliferano suoni “diversi”, una volta si sarebbe detto “spettrali” (definizione che, a Murail e ai suoi sodali non piace molto), derivati spesso dall’uso dei micro intervalli e/o dalla modulazione di frequenza che poco hanno a che vedere, in ogni caso, con un’idea “naturale” del suono.
Si tratta di quell’impressionismo sonoro che in passato si è voluto scorgere nel lavoro compositivo di Murail, forse per assicurarsi una certa continuità storica con il panorama della musica francese. Non si è trattato di continuità, ma semmai di rottura con l’idea che la scrittura musicale fosse tutto quanto c’era da dire e da fare, come nella musica seriale. Il passaggio è stato da un’iscrizione a una trascrizione, all’incirca, passando attraverso i media informatici che rendono il suono una mappa di intensità e di processi aperti, di soglie percettive tutt’altro che “astratte”. Eppure certi titoli di opere sembrano mettere l’autore proprio a cospetto di un “ritorno alla natura”. Murail, come ha scritto in alcuni testi di rilievo tra cui il più noto resta La révolution des sons complexes (in Modèles & artifices, a cura dell’università di Strasburgo), ha ben voluto aggirarsi tra le sinestesie suono-colore, per esempio, giocando con immagini suggestive che vanno dai pastelli di Odilon Redon a opere come Couleur de mer (come non pensare a Debussy), salvo poi inserire nel suo lavoro certi modelli scientifici, tecniche di sintesi e altri “artifici” che liberano la musica da ogni riferimento “naturalistico”, preferendo la ricerca pura a qualsiasi soluzione estrinseca o casuale à la John Cage.
Non mancano, comunque, le suggestioni orientali (in particolar modo in L’esprit des dunes), così come l’attenzione spasmodica per la timbrica e per la mescolanza tra armonia e timbro – giusto per mettere a tappeto la teoria musicale, sempre un po’ pigra e classificatoria rispetto al laboratorio artigianale. C’è, nella musica di Murail, un’attenta cognizione del processo sonoro e la convinzione che al centro della musica debba rimanere la percezione del suono più che le note di una partitura: l’ascolto non è un semplice corollario già fissato nel segno, derivato da un “artefatto” ormai concluso, autonomo, ma una parte fondamentale della musica nel suo sviluppo reale. Tuttavia, se c’è qualcosa di interessante sono proprio le “partiture” di Murail, specialmente a livello preparatorio. A questo proposito, e per riprendere una nota polemica, bisognerebbe accettare il suggerimento di Murail e lasciare cadere il termine “spettrale” (spettralismo) in favore del più preciso, anche se più tecnico, “frequenziale”: le combinazioni armoniche restano più ampie di quanto possa suggerire lo spettrometro.
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