Il confronto che scaturì dalle dolenti fasi avviate dall’allora presidente del Consiglio, Mario Monti, delineò due schieramenti trasversali: uno a favore e l’altro, ovviamente, contrario all’abolizione. Tanti parlamentari e rappresentanti di ogni partito, convinti della utilità e della funzione di ente cerniera che le Province svolgevano, segnatamente, tra i livelli istituzionali piccoli e medi con quelli superiori, fecero fronte comune con l’UPI (Unione Province Italiane) nel tentativo di giungere ad un provvedimento condiviso che, pur operando una sostanziale e necessaria “razionalizzazione”, le salvaguardasse. Pro o contro, alla fine di tutto, le ipotesi immaginate dagli uni e dagli altri, son state stravolte.
Dal 1993, con la introduzione della elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province, non solo i comuni, ma anche queste ultime hanno ricevuto un forte impulso e potuto esercitare una azione più incisiva e pregnante per le comunità e le aree vaste rappresentate; soprattutto, per quanto concerne le competenze principali: viabilità, trasporti, edilizia scolastica, ambiente, e operando e determinando scelte strategiche per lo sviluppo sociale ed economico dei territori. Penso, ad esempio, al disegno di nuovi modelli di welfare locale ed al ruolo centrale che hanno svolto per la realizzazione di opere infrastrutturali e non solo.
Ormai, i sindaci dei comuni meno grandi, in primis, non potranno più trovare una sponda nel presidente della provincia, nell’assessore o nel consigliere, onde tentare di affrontare e porre rimedio ad una problematica, ed ottenere, almeno, attenzione. Se opportunamente introdotti ed annunciati dai propri riferimenti politici, saranno in fila, davanti alle porte di qualche potente dirigente di apparato regionale o di palazzo romano ad invocare ascolto, al fine di strappargli un sì, una firma, una autorizzazione per dar vita ad un progetto, o per avviare un cantiere.
C’è poi, una conseguenza. forse, meno evidenziata la quale riguarda il futuro delle persone che prestano servizio presso gli enti Provincia; di cui, tante operose e competenti. Già nella imminenza, una parte di esse, da ridistribuire, fra mille incertezze e con una sorta di transumanza, nelle diverse ed altre ramificazioni della pubblica amministrazione, iniziandole, quindi, a nuove mansioni.
E’ indubbio che l’azienda Italia deve, assolutamente, ottimizzare la spesa, individuare ed eliminare gli sprechi, da ricercare, anche, negli intollerabili effetti della lentezza burocratica, della mala gestio e della corruzione. Chi governa non dovrebbe, mai, trascurare, però, le primarie necessità delle comunità e, innanzitutto, che il bene dei cittadini è la prioritaria ragione per la quale si amministra la cosa pubblica. Il cittadino, ripetutamente chiamato al sacrificio e ad osservare i propri doveri, invoca e rivendica legittimi diritti e, tra questi, quello di poter fruire di un pubblico servizio più efficiente e moderno, che lo accompagni, assista e che non si riveli, invece, avverso.
editoriale a cura di Tony Ardito, giornalista