L’anello di zinco, come la coccarda rossa, divenne un simbolo della resistenza meridionale da quando durante l’assedio di Gaeta, una granata shrapnel esplose vicino alla finestra della stanza della regina Maria Sofia. L’onda d’urto la scaraventò a terra tra le tante schegge arricciate come anelli che la ferirono ad una guancia. La regina, senza scomporsi, ne raccolse una e la infilò al dito come fosse un anello. Il giorno dopo nella città tutti portavano quegli “anelli” in segno di solidarietà verso l’ultima sovrana delle Due Sicilie. Da quel momento si iniziarono a forgiare anelli di zinco con incise le parole più significative: Gaeta 1861, Francesco II, Fac et spera…
Divennero simboli di lealtà, di ribellione e di identità nazionale che molti ostentarono anche decenni dopo l’unificazione e che il nuovo regime guardò sempre con diffidenza e disprezzo. Lottavano per difendere la propria terra, la propria famiglia, la propria vita, ma li chiamarono “Briganti”. Oggi in molti “portano al dito un anello di zinco” cominciando ad esserne consapevoli; portano dentro l’orgoglio di essere meridionali, la voglia di riscatto e il desiderio di cambiare questa condizione in cui altri li costrinsero, con l’intento di mutare quell’atteggiamento di immobilismo e disfattismo che frena la ripartenza di un grande popolo. Per fare questo è fondamentale conoscere la propria storia, perché se non si conosce il passato non ci può essere futuro.
«L’accuratezza di Mauro Mercuri nella ricerca» scrive Pino Aprile, «si era già notata ne’ ‘La Coccarda Rossa 1861’». E questo nuovo lavoro la conferma. “L’anello di zinco” è una sintesi del tutto, a proposito della riscoperta identitaria, mai sopita, ma esplosa negli ultimi anni, delle genti meridionali; significa recuperare coscienza del proprio valore, della propria storia negata (che viene riproposta più corretta e persino gridata), dello spessore del proprio cammino, come comunità, che fu interrotto con le armi. Il Sud ritrova se stesso nella sua storia, riannodando i fili dove furono spezzati e prova a riprendere il passo che prima fu interrotto con la forza e poi dichiarato assente. Il Sud ha bisogno di sapere chi è, chi era, per capire cosa sta diventando e può diventare».
Per farlo, afferma l’Autore del bestseller Terroni, «servono libri come questo». Un libro che restituisce dignità e in un certo senso giustizia, a quegli uomini che vennero spogliati delle loro ragioni e relegati in un ambito di comune criminalità, e che lo scrittore Gianrico Carofiglio ha definito: «documentato e ben scritto, un saggio storico che si legge con il ritmo di un romanzo».
A noi non resta altro che augurarvi buona lettura.