Il capolavoro racconta il lento e implacabile tormento di una donna smarrita nel labirinto della sua mente offuscata, una donna alla deriva, schiacciata dalla follia e dalla memoria, da ricordi spesso abbaglianti, dal dolore di una perdita assurda e maledetta. In una scenografia essenziale, attraverso un sapiente gioco di luci, prende vita la parola, assaporata e restituita con una forza nuova. Si alternano voci di donne, una pazza che crede di essere la Madonna, una donna sola che trova nel telefono l’unica salvezza e una madre che scopre con orrore la gravidanza della figlia.
La follia che spinge la donna in una tunica che è una camicia di forza, tra lo sfavillio dei parametri sacri è senz’altro scandalosa ma ciò che rende inquietante questa figura è la sua inossidabile ostilità all’ipocrisia. Si odono le voci di donne, di una donna che incarna tutte e altre, nelle righe sofferte di solo due dei quattro monologhi previsti, mischiate, confuse, immerse in una rete di simboli e segni, che diventano un vero e proprio collante tra l’immagine e la parola, tra il gesto e il senso. Un intero monologo interpretato dall’attore salernitano De Rosa, richiama donne, richiama la fede e richiama le credenze di una vita vissuta tra amore e castigo, tradizione e novità.
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