Ovvero scelte di politica monetaria e fiscale incentivanti la ripresa e quindi la crescita della produzione e dei prezzi al consumo. In questi anni, l’Ue ha completato il percorso di affidare le scelte di politica monetaria ad un’unica regia, quella della Bce; solo di recente, invece, ha intrapreso il percorso di adottare politiche fiscali comuni, mediante la procedura di adesione e sottoscrizione da parte dei singoli stati membri del cosiddetto Fiscal Compact.
La situazione in Italia, simile a quella già manifestatasi alla fine degli anni ’80 e proseguita fino agli inizi degli anni ’90, ha indotto i governi nazionali a perseguire politiche non già di riduzione nominale del debito, quanto piuttosto di stabilizzazione del rapporto percentuale debito/PIL.
Come allora con il governo Ciampi (1993-94: rapporto in crescita tendenziale tra il 115 e il 120%), si è quindi ritenuto opportuno puntare su un maggiore saldo dell’avanzo primario. L’avanzo primario del bilancio statale è la differenza fra la spesa pubblica e le entrate tributarie e extra-tributarie esclusi gli interessi da pagare sul debito.
In breve, soprattutto nel periodo di maggiore crisi (2011-2015), i governi nazionali si sono impegnati a garantire l’obiettivo, sia pure minimo, di un saldo positivo di bilancio tra entrate ed uscite dello stato, su base annuale, in grado almeno di soddisfare il pagamento annuale degli interessi di debito pubblico in scadenza. Il perseguimento di questo minimo obiettivo, non ha tuttavia evitato, nello stesso periodo, sia la crescita del valore nominale del debito pubblico, da € 1887,9 mld. (1/2011) a € 2.204 mld. (6/2015), sia la crescita del valore percentuale del rapporto debito/PIL, da 118,7% (1/2011) a 136% (6/2015).
(*) Questo è il primo di una serie di articoli sull’andamento e lo stato della finanza pubblica in Italia
(Angelo Giubileo)
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