Negli ultimi anni, il dato è cresciuto fino al 92,7% registrato a giugno 2015. Nonostante l’impatto fortemente negativo della crisi sia finanziaria che produttiva, l’euro è stato dunque un fattore determinante in grado di stabilizzare l’economia europea e soprattutto evitare il possibile default degli stati membri con maggiori difficoltà di bilancio (PIIGS).
Si spiega così la funzione centrale svolta dalla BCE negli ultimi anni, in una prima fase (2011-2014) di austerity finalizzata essenzialmente all’obiettivo di contenimento e consolidamento del debito – nell’ambito di accordi internazionali (di cambio e scambio commerciali) con le altre aree dell’economia globale – e in una fase, preannunciata a fine 2014 con la prima operazione di quantitative easing, di rilancio dell’economia di crescita dell’intera area Ue. Ovvero, l’area politica che attualmente comprende i 28 paesi che hanno aderito al patto costitutivo dell’Unione (Maastricht, 7 febbraio 1992).
Nella prima fase, la BCE ha utilizzato strumenti di finanziamento all’economie in difficoltà mediante i meccanismi previsti dagli strumenti dell’EFSF, ESM e OMT. L’EFSF è un primo fondo salva-stati, sostituito dal luglio 2013 dal nuovo fondo dell’ESM (Meccanismo Europeo di Stabilità). A settembre 2012, il governatore Draghi presenta il programma di OMT concernente l’acquisto, praticamente illimitato, da parte della BCE dei titoli di stato dei paesi dell’euro sui mercati secondari. In concreto, mentre il progetto OMT è servito alla riduzione degli spread; l’ESM è servito invece a garantire eventuali piani di salvataggio dal debito, in entrambi i casi dei paesi dell’euro in difficoltà.
Due esempi: nel primo caso, è senz’altro l’Italia ad averne beneficiato, considerato che il dato della differenza d’interesse (spread) sui titoli di stato a dieci anni BTP/BUND (buoni del Tesoro italiano/tedesco) a novembre 2011 (avvento del governo Monti) era 552 ed oggi oscilla rispetto a medie di poco superiori a 100 punti base; mentre, nel secondo caso si tratta con ogni evidenza del salvataggio della Grecia, che ad oggi ha ricevuto dall’Ue circa € 240 mld.
In definitiva e sia pure in modo approssimativo, il confronto di questi anni recenti – tra l’andamento negativo del rapporto debito pubblico/PIL dell’area Ue e quello dell’Italia – dimostra con ogni evidenza la maggiore difficoltà della nostra economia produttiva sul piano della concorrenza in ambito globale e quindi sostanzialmente uno scarso livello di competitività. A tale proposito, l’indice dei prezzi al consumo (IFM), nel periodo 2011-2014 registra un dato per l’Italia in media pari a 107,4 punti base, un dato che colloca il nostro paese al 147° posto su un totale di 181 paesi per i quali il dato è stato rilevato (fonte: The world bank).
Angelo Giubileo