Francamente, immaginavo di assistere ad una ridondante autocelebrazione dei fasti della Democrazia Cristiana che fu, viceversa, ho avuto il privilegio di ascoltare, l’ex primo ministro, in una splendida lezione di politica e storia contemporanea e di rivisitare, altresì, un tratto del mio vissuto.
Da Sturzo a Moro, da Berlinguer a Craxi; da De Gasperi a Fanfani; da Andreotti a Berlusconi, da Prodi a Renzi; una lucida esegesi su quanto accaduto nell’ultimo trentennio.
Più volte, De Mita ha voluto rimarcare il ruolo strategico che l’Italia ebbe, segnatamente in politica estera, dalla fine degli anni ’70 in poi e non ha mancato di rivelare, pure, i coraggiosi tentativi, privi di sorte, operati, già da metà degli anni ’80, verso gli Stati Uniti, allo scopo di allargare l’Unione Europea, non solo ai Paesi dell’Est, ma anche alla allora Unione Sovietica di Micheal Gorbaciov.
Il sindaco di Nusco, al netto delle diverse posizioni di maggioranza ed opposizione e degli schieramenti in parlamento, ha reso merito a numerosi leader del tempo; al loro senso dello Stato ed alla loro visione d’insieme del Paese: il superiore interesse dell’Italia, si anteponeva ad ogni altra cosa.
Secondo Ciriaco De Mita, la politica è, innanzitutto, pensiero. E’ capacità di immaginare, individuare e proporre soluzioni adeguate ai problemi. Una presupposto fondamentale per avviare un confronto ed indicare e guidare un processo di cambiamento. Le Istituzioni sono il luogo entro il quale tutto ciò trova naturale attuazione. La politica, però, ha perso il suo primato, anche nella assunzione della responsabilità. Oggi il dibattito, pure quello aspro, proveniente dagli ambienti intellettuali, si è appiattito, anzi è scomparso; i direttori di giornale rappresentano spesso, in particolare nei talk, una parte o l’atra nella contrapposizione tra schieramenti; la informazione è uniformata e, sovente, amplifica messaggi vuoti, siano essi urlati o dal gergo social e moderno.
Per l’autorevole relatore, la dialettica democratica, fuori e dentro una area ideologica, era considerata strumento imprescindibile, in seno alla D. C., come alle altre compagini. Il segretario era davvero primus inter pares, ed anche per questo, oltre che per formazione, rispettoso delle regole che, all’interno di un partito, vigevano. Oggi l’individualismo dei leader fa somigliare le formazioni politiche a loro stessi, gli fa assumere decisioni in totale autonomia e calzarle a seconda di circostanze e convenienze; un esempio per tutti: il continuo ed umorale mutamento del tanto evocato strumento delle primarie.
Valutato ciò, vorrei, tuttavia, poter indossare i panni di “Pierino” e permettermi di porgere una ideale domanda all’onorevole De Mita e, naturalmente, non solo a lui: caro Presidente, se a quello che si è, finalmente, conquistato in termini di stabilità di governo, sia esso locale che centrale, con l’introduzione della “elezione diretta”, non è corrisposta, probabilmente, la maturazione di una nuova classe dirigente nel suo insieme; se da più di vent’anni a questa parte, ahimè, ci siamo, rassegnati a vedere uomini soli al comando; se gli ultimi tre governi – per quanto in condizioni di emergenza – non hanno ricevuto alcuna legittimazione dalle urne; infine, se oggi, tutti, corriamo seri pericoli per il delinearsi di nuovi conflitti, non può essere che sia, anche, per effetto di taluni errori di valutazione commessi dai raffinati e, indiscutibilmente, rimpianti uomini di pensiero della Sua stagione politica?…
editoriale a cura di Tony Ardito, giornalista