In breve, incassando una iniziale sconfitta, quello spavaldo sognatore, ha messo all’angolo mostri sacri ed è divenuto leader, pressoché indiscusso, del suo partito e, sebbene, privo della legittimazione delle urne, dal 22 febbraio 2014, è alla guida del governo, sorretto da una poderosa pattuglia di amici e supportato, chissà perché, da un cospicuo numero di ex oppositori, gli stessi che lo sbeffeggiavano per le sue idee, definite bislacche, ancorché per il suo “wonderful style”.
Matteo Renzi ha conquistato indiscutibilmente la scena, provocato un corto circuito con i rituali del passato, ma anche licenziato, con rapidità e determinazione, buona parte delle riforme che Silvio Berlusconi, benché sorretto da una maggioranza e da un consenso amplissimi, fuori e dentro il parlamento, non fu in grado di concretizzare. Ovviamente, ciò ha indotto molti al ragionevole sospetto che dietro il celeberrimo, “Patto del Nazzareno”, ci fosse qualche ulteriore, ignota intesa.
Che nel Paese ci sia bisogno di modernità; che, finalmente, pure nelle professioni il valore venga riconosciuto un po’ prima di esser prossimi alla pensione – per chi avrà la fortuna di percepirla – che si dia seguito ad un complessivo rinnovamento, non solo generazionale, credo sia giusto e, persino bello, ma non sufficiente se disgiunto dalla esigenza di far corrispondere una nuova stagione dei doveri e, soprattutto, dei diritti. I lavoratori, i giovani i pensionati, le persone in genere, vengono, sempre più spesso, considerati in funzione di dati statistici. Talvolta si ha la sensazione che i numeri prevalgano sull’individuo; che le tragedie dei migranti, o il dramma di un genitore, un imprenditore, un piccolo risparmiatore che disperato si toglie la vita, siano valutati da taluno quali “danni collaterali” e che, dunque, i fini valgano più dei principi.
Credo si avverta il bisogno di recuperare quella funzione sociale che, nonostante alcuni misfatti, le nostre Istituzioni hanno saputo esercitare sino alla fine degli anni ’90. La affannosa corsa verso certuni standard europei ed un modernismo esasperato sta facendo ulteriormente smarrire il senso prioritario dell’impegno civile e politico: il bene delle Comunità e di ciascuno di coloro che le compongono.
Che si chiami Leopolda, Gioconda o Belen, agli italiani poco importa, se da essa, come in altri luoghi, con diverso simbolo, emergono valori, contenuti e concrete possibilità. Spero sinceramente che il segretario del PD e tutti i leader di ogni formazione politica, deroghino a qualche proclama, post o tweet onde infondere, per davvero, nel proprio fare quella “pietas”, sovente declamata, ma di cui l’individualismo e l’egoismo stanno facendo perder traccia e memoria.
editoriale a cura di Tony Ardito, giornalista