E’ da questo presupposto che deriva la caratterizzazione del “Platone ‘comunista’”; ma, in effetti, palesemente sconfessata dal modello di organizzazione classista dello stato pensato dallo stesso filosofo e propugnato nel corso di tutta la sua opera politica e in particolare ne La Repubblica(in greco antico, Politéia).
Nella trasposizione moderna del concetto di demo-crazia, Canfora ritiene essenzialmente che: a) “La riflessione greca, o forse soprattutto ateniese, si è spinta fino al punto più alto, fino alla consapevolezza dell’irrilevanza delle forme politiche in quanto forme”: b) “… alla fine – o meglio allo stato attuale delle cose – ha avuto la meglio la ‘libertà’. Essa sta sconfiggendo la democrazia. La libertà beninteso non di tutti, ma quella di coloro che, nella gara, riescono più ‘forti’ (nazioni, regioni, individui): la libertà rivendicata da Benjamin Constant con il significativo apologo della ‘ricchezza’ che ‘è più forte dei governi’”.
E tuttavia, se – come l’autore anche ribadisce, “il fatto è che proprio perché non è una forma, non è un tipo di costituzione, la democrazia può esserci o esserci solo in parte o non esserci affatto, ovvero tornare ad affermarsi, nell’ambito delle più diverse forme politico-costituzionali” (n.d.r.: la sottolineatura è mia) -, allora la questione della democrazia diventa comunque una questione pratica, in fondo e in genere, legata all’esercizio (e quindi effettività) del “potere” (-crazia, dal greco kratia; da krateo, dominare).
E quindi, a mio modestissimo parere, anche assumendo il punto di vista dell’autore, resterebbe da definire ancor prima un’altra questione, ovvero la possibilità o la concretizzazione (effettività) di un sistema politico sì definito. E quindi, prima d’interrogarsi come fa Canfora, in conclusione del saggio, sulla possibilità che “la democrazia sia (è) rinviata ad altre epoche”, se sia in effetti già esistito un sistema politico siffatto. E quindi un topos di riferimento che, in tal caso, sia inteso come luogo dell’abitare. Nel significato che immediatamente riecheggia la “dimora dell’abitare” di heideggeriana memoria.
Angelo Giubileo
(Parte III – continua)
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