Complice di questa situazione, spiega il rapporto, il fatto che processo di sequestro, confisca e destinazione dei beni di provenienza mafiosa “si presenta lungo e confuso”.
Si stima che circa 1 immobile su 5 confiscato alla criminalità organizzata sia nell’agroalimentare. Il 53,5% si concentra in Sicilia, mentre la restante parte riguarda soprattutto le altre regioni a forte connotazione mafiosa, quali la Calabria (17,6%), la Puglia (9,5%) e la Campania (8%); seguono con percentuali più contenute la Sardegna (2,3%), la Lombardia (1,6%), la Basilicata (1,5%) e il Piemonte (1,3%). Le altre regioni si attestano sotto l’1%.
La Dia ha avviato un monitoraggio e i report – sottolinea Coldiretti – denunciano molte irregolarità con molti beni che risultano ancora occupati o dai mafiosi stessi o da loro parenti e prestanome. All’origine di ciò, spiega il rapporto, inadempienze, procedure farraginose, lungaggini burocratiche. I criminali che non vengono sgomberati dagli immobili godono persino del vantaggio di non dover pagare le tasse sul bene, poiché sequestrato.
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