“Nella norma l’entrata di un figlio nella maggiore età è un passaggio fondamentale per un genitore, si tira il primo sospiro di sollievo, si pensa (magari ci s’illude) che il più sia fatto, ora è un adulto in prima fila al teatro della vita, che vada… Già ma quelli come Tommy dove volete che vadano? Da maggiorenni gli autistici s’imbullonano definitivamente ai genitori, i loro punti di riferimento certi si assottigliano sempre di più con il crescere. Ogni routine quotidiana deve necessariamente essere abbandonata, e per un autistico questo corrisponde a un cataclisma cosmico.
Quando Tommy non potrà più vedere il suo pulmino giallo, sarà la fine di un rito per lui vitale, come quei sacrifici che gli uomini antichi facevano perché ogni mattina potesse rispuntare il sole”. Per Tommy, come per tanti ragazzi autistici della stessa età, a 18 anni inizia una vita nuova, ma non per questo migliore rispetto alla precedente. Una vita in cui si dovrà fare a meno di aiuti diventati indispensabili.
“La scuola non potrà tenerselo parcheggiato ancora per molto – spiega Nicoletti – anche ogni centro pomeridiano di abilitazione e terapia ha scritto su Tommy la data di scadenza. A diciotto anni fuori, loro si occupano solo di bambini, massimo adolescenti. E da chi lo facciamo visitare se ha problemi? Di autismo ne sanno solo (pochi) neuropsichiatri infantili e lui ha barba e baffi”.
Secondo Nicoletti, il rischio è che il figlio venga “parcheggiato”, abbandonato dallo Stato, senza tutele. Tutto ricadrà sui genitori, “finché ce la faranno”. Quando anche loro invecchieranno, genitori e figlio autistico verranno “messi nello stesso cassonetto. In quello per la raccolta differenziata dei folli di ogni tipo, di cui nessuno sa nulla e sui quali chi gestisce l’affare fa la sua fortuna”.
“Alla faccia della tristezza domani farò una bella festa! Con amici e belle amiche. Suoneremo balleremo e sbevazzeremo fino all’alba, assieme a Tommy, semplice matto e non più autistico – conclude Nicoletti -. Il giorno dopo, da sobri, qualcosa ci inventeremo”.
Fonte www.huffingtonpost.it