Petaloso, al di là, delle dotte esegesi e dei pareri dei linguisti, piace perché ci induce a pensare a qualcosa di semplice, di bello. Non un termine derivato dal maniacale uso che, un po’ tutti facciamo, delle supertecnologie e dei social, né un vocabolo italianizzato, ma il frutto della mente fervida, della fantasia di un bambino e il buon risultato della accorta ed intraprendente insegnante, Margherita Aurora, che ha inteso sottoporre al vaglio della “Accademia della Crusca” il reinventato lemma.
Già nel ‘600, infatti, petalosus risulta presente in un testo di James Petiver, botanico e farmacista inglese; mentre Michele Serra usò il termine “petaloso” nel 1991 in un articolo dedicato al Festival di Sanremo ed ai suoi fiori e pubblicato da Panorama.
L’interesse che la cosa ha suscitato è stato enorme, in tanti ci siamo cimentati nella divertita ricerca di articoli e opinioni ed abbiamo provato, sulla scia del piccolo Matteo, a coniare neologismi. In ogni dove ci si è misurati in simpatici dibattiti o in piacevoli competizioni onde individuare il termine più “sfizi-oso”.
La curiosità stimolata da questo singolare episodio mi ha fatto riflettere sul desiderio che, in fondo, ciascuno nutre di poter indugiare pure su cose un po’ più lievi, ma non per questo necessariamente futili. Troppo spesso veniamo travolti da notizie, eventi negativi o, sovente, ci lasciamo ammaliare da gossip e frivolezze.
Petaloso rappresenta, quindi, molto più che la vittoria del linguaggio semplice e didascalico sull’affannosa ricerca del termine, della frase ad effetto o del pensiero elaborato. Un tweet, un post, un whatsapp appaiono forse più efficaci, ma accorciano le distanze ed agevolano la immediatezza, solo apparentemente; finiscono col mortificare il dialogo, la ricchezza del contraddittorio e della parola; affievoliscono la vivacità del confronto diretto.
Matteo, il bambino della scuola primaria Oreste Copparo (Ferrara), ha l’inconsapevole merito di aver indotto tanti di noi a rispolverare il vecchio vocabolario, a ripensare all’ansia che suscitava lo svolgimento di un tema in classe; all’errore da matita rossa, alla delusione per un voto brutto ed alla soddisfazione per uno alto. Ha fatto tornare alla memoria una scuola viva e pregna di valori nella quale ad una, ad una sola maestra veniva conferito, con assoluta fiducia, il delicato compito di guidare e formare il proprio allievo, integrarlo in un collettivo; di farne emergere capacità ed attitudini e, non ultimo, di coadiuvare la famiglia nel forgiare e dare spessore alla sua coscienza.
editoriale a cura di Tony Ardito
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