Perplessità condivise anche dal Ceo di Salerno Stazione Marittima, Orazio De Nigris. “Il Comitato portuale, così come previsto dalla legge 84/94, rappresentava la camera di compensazione degli interessi delle diverse categorie, un tavolo tecnico dove affrontare le problematiche. Ora questo strumento viene meno. Le questioni saranno affrontate da un Comitato di gestione, diretta espressione della politica”. Come affrontare, allora, questo delicato passaggio? Tino Iannuzzi, deputato che ha recentemente posto la questione in un’interrogazione parlamentare, traccia la linea di condotta.
“La battaglia deve puntare ad ampliare il fronte della discussione, raccogliendo attorno a se gli scontenti. Il luogo è la Conferenza Stato-Regioni. E’ lì che ci sono le condizioni per poter agire concretamente sulla normativa”. “Il criterio – continua – è la costituzione di una sedicesima Autorità di sistema a Salerno. O, quantomeno, la previsione di un’ampia autonomia dei singoli porti su concessioni, autonomia finanziaria, governo della manutenzione ordinaria e straordinaria”.
“L’Autorità di sistema – conclude – non serve né a Salerno né a Napoli. Il porto partenopeo viene da anni di mancato processo governativo, deve concentrarsi principalmente sul suo rilancio”. Chiude la discussione, cui hanno partecipato anche Giuseppe Amoruso, Responsabile risorsa mare di Confindustria Salerno, ed Elio Spagnolo, Capo Area Amministrazione dell’Ap di Salerno, il presidente del Propeller Club di Salerno, Alfonso Mignone.
“Il diritto e le peculiarità dei territori, in una materia così particolare e delicata come quella portuale, devono prevalere sulle mere convenienze politiche. La riforma, così com’è congegnata, non appiana il gap competitivo della portualità italiana né tiene conto dei necessari criteri meritocratici. Quali alternative? La piena autonomina di Salerno, la costituzione di 6 Autorità logistiche nazionali o, quella preferibile, la ricostituzione di un ministero del Mare in grado di assumere la cabina di regia del settore”.
Salerno e Napoli sono due realtà diverse sul piano geopolitico, amministrativo, storico e socioculturale. L’idea di unificare i porti è pessima, poiché una delle due città, per i motivi di cui sopra è storicamente inefficiente e demotivata. Se proprio volete unificare i porti, la sede dell’ente che li gestirà dovrà essere a Salerno. Se Napoli vuole l’unificazione dovrà dipendere da Salerno, altrimenti potrà unificare il suo porto con le realtà regionali a essa più simili (es. Castellammare), lasciando in pace le aree della Campania che fino ad ora sono riuscite a farcela da sole.
Ma se il porto di Napoli è stato più volte commissariato per inefficienza, chiudetelo e spostate l’autorità portuale della Regione, nelle aree in cui vi è maggiore efficienza. Perché ostinarsi a un napolicentrismo cieco che sta rovinando l’intera Campania. Se un settore non funziona, esso non va assistito, va semplicemente abbandonato, premiando le aree virtuose a produrre di più e punendo le aree demotivate, in modo da non continuare a sperperare risorse. Semplice no?
Bellissimo. La città che detiene il peggior porto della regione in termini di manutenzione, amministrazione ed efficienza, da oggi deciderà il futuro del porto più efficiente della Campania. Come sempre in Italia vengono premiate le inefficienze, generando una demotivazione contagiosa a fare le cose per bene. Spostare l’authority a Napoli è un po’ come se Napoli volesse insegnare a Salerno e Bolzano come si fa la differenziata. Per rimanere in tema “mare”, queste cose mi ricordano un po’ le lezioni sulla gestione del panico fatte all’Università capitolina, da qualche illustre esperto in materia. Cose da pazzi.