Nell’episodio centrale un lieve gioco di terzine a poco a poco si gonfia, si inturgidisce sino a trovare sbocco in un canto appassionato che chiude con una coda traboccante di raffinate armonie. Si passerà quindi all’esecuzione dei quattro improvvisi composti dal genio polacco l’op. 29 in La bemolle, l’improvviso in Fa diesis op.36 e l’op.51 in Sol bemolle. Il primo e l’ultimo sono in forma di canzone tripartita, quasi a ricordare il notturno, il tutto lavorato con la minuziosa arte di un orafo. L’improvviso op.36 è, invece, un brano formalmente ed emotivamente più articolato. La forma è ancora quella della canzone, ma la prima parte presenta un gruppo tematico ben definito e la seconda parte è una marcia guerriera, quasi un micro-poema sinfonico.
Chiusura con l’op.66 un improvviso-fantasia caratterizzato da una tessitura armonica fluida e trasparente che attesta un luminoso momento creativo dell’artista, specie nell’Allegro agitato iniziale, che con i suoi accordi freschi e vaporosi dà una sensazione di risveglio della natura in un limpido mattino di primavera, prima di chiudere il primo set chopiniano con la Polacca in Fa diesis op.44, dalla costruzione grandiosamente ricca di episodi contrastanti, con l’inserimento di momenti lirici e di un episodio guerriero con imitazione di trombe e tamburi.
Il momento centrale del concerto saluterà l’interpretazione delle quattro mazurche op.68, con la prima in Re, breve e semplice paginetta che non oltrepassa il gusto salottiero, la celeberrima n°2, in La, con l’inserimento del quarto grado alterato e il conseguente Zal polacco, una specie di blue note, la terza, in Fa, basata sul canto popolare “Oj Magdalino, ma presto riportata in ambiti stilistici occidentali, e la quarta, ancora in Fa, pubblicata postuma, un pezzo visionario che preannuncia le sonorità opache di Bartòk. Finale di serata con le Maschere op.34 composte da Karol Szymanowski tra il 1915 e il 1916. Costruzione a trittico secondo la scuola francese di Debussy e Ravel, da cui prende ad usare la sonorità pianistica in modo molto raffinato. Ascolteremo Shéhérazade, Clown Tantris e la Serenata di Don Juan, in cui la retorica dei grandi gesti sonori si insinua nelle pagine concepita su di una politonalità che sfrutta la disposizione stessa dei tasti del pianoforte.