Per prima cosa, è evidente che le dinamiche dell’economia reale e finanziaria non procedono parallelamente; anzi, esse in tanti casi divergono. John Kenneth Galbraith, con la sua Storia dell’economia, ha insegnato una volta per tutte che, in economia, gli squilibri sono effetti di a-simmetrie e che gli indici dei prezzi rappresentano le migliori cartine di tornasole di un sistema produttivo, sia nell’ambito di un mercato (interno) che nei rapporti tra mercati (esterni).
E quindi, se fosse essenzialmente vero che il mondo si muova oggi in base alle ragionidell’economia finanziaria, ne deriverebbe che a evitare conflitti geopolitici basterebbe perseguire la via dell’integrazione finanziaria su scala sia localistica che globale.
Ma, statu quo, accade che interessi economici disallineati, e quindi asimmetrici, conducano sovente a conflitti geopolitici o solo politici; e questo, perché i medesimi interessi non sono supportati da decisioni politiche di allineamento (o simmetria) o semplicemente perché le stesse decisioni – all’interno di un qualsiasi spazio ristretto di sovranità, interno (statale) o di area (comunitario) – siano o risultino più difficili da prendersi. E, quanto a questo, può dirsi che la storia dei popoli non è affatto cambiata.
Pertanto, si spiegano anche così alcuni odierni e solo apparenti paradossi, che tali viceversa non sono. Per noi italiani, due esempi su tutti: 1) le politiche monetarie di alleggerimento quantitativo (QE) della Bce, attese (sigh!) e anzi pretese (doppio sigh!) dai mercati finanziari, ma finora rivelatesi inadatte alla ripresa dell’economia produttiva reale; 2) gli effetti del ribasso dei prezzi di una commodity, che i mercati cioè considerano alla stessa stregua di un bene fungibile, come il petrolio.
Angelo Giubileo
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