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Fine di una presidenza (di Cosimo Risi)

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A novembre si vota alle presidenziali americane e noi seguiamo le primarie con maggiore attenzione di quelle per i municipi italiani. Il Presidente USA è anche il “nostro” Presidente, sebbene non siamo chiamati a votare per lui (o per lei, se davvero Hillary Clinton sarà la candidata democratica). E’ prassi  che il Presidente in carica, terminato il mandato, fondi una biblioteca a proprio nome e scriva il libro di memorie.

Barack Obama si conferma originale anche in questo e anticipa in una serie di interviste le sue considerazioni di politica estera. L’approccio è minimalista e pragmatico. Non una “dottrina”, come altri Presidenti prima di lui amavano definire le loro strategie, ma considerazioni di ordinaria saggezza.

La principale è che l’America non deve contare solo sulla forza militare per ottenere rispetto nel mondo. Non è che se scoppia una grana da qualche parte, l’America deve per forza intervenire. Esistono altri mezzi e soprattutto esistono gli alleati. Gli europei tendono a fare i “free riders”, i giovinotti che salgono a bordo dei mezzi pubblici senza biglietto. Tradotta in concreto, l’espressione sta a significare che gli europei ambiscono alla grande politica,  ma senza dotarsi dei mezzi idonei.

Risparmiano sulle spese per la difesa per contare sull’aiuto americano e se questo non ci sta, vanno in difficoltà. Significativo è il caso della Libia nel 2011. Giunge notizia che il Colonnello Gheddafi (Qaddafi) minaccia gli insorti di “asfaltarli” (Obama non usa questa parola del nostro gergo, è più elegante, ma il senso quello è), si profila una possibile crisi umanitaria, Francia e Regno Unito intervengono a tutela ma solo dopo che l’America ha disattivato le difese antiaeree libiche.

Obama ne ha anche per altri tradizionali alleati. Allude all’Arabia Saudita quando dichiara che un paese si valuta da come tratta la metà della popolazione (quella femminile) e che Riyadh deve trovare “una pace fredda” con Teheran dopo l’intesa sul nucleare iraniano, senza contare sull’intervento americano per regolare “certe contese tribali”.

Col Primo Ministro d’Israele i rapporti sono  difficili. Qualcuno ricorda lo scambio di battute, in fuori onda, fra Obama e Sarkozy a proposito di Netanyahu. Obama ci torna su e si mostra infastidito dalla condiscendenza con cui “Bibi” lo tratta: sono nero, figlio di una madre single, eppure sono divenuto Presidente, merito rispetto.

Con la Russia il rapporto è “asimmetrico”. Obama riconosce che l’Ucraina è vulnerabile all’interesse militare della Russia mentre sta lontano dall’interesse strategico degli Stati Uniti. Con Mosca  un rapporto costruttivo va tenuto per il bene della pace.

A proposito di Russia un altro Grande, Mikhail Gorbacev, alla festa degli 85 anni, nota che Putin non ha completato il processo democratico avviato dallo stesso Gorbacev con la perestrojka (ristrutturazione), anche se la maggioranza della popolazione sta con lui. La Russia comunque sta facendo tutto il suo dovere in Siria contro il terrorismo.

di Cosimo Risi

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