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Il ventre molle dell’Europa (di Angelo Giubileo)

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Mentre stavo per scrivere questo articolo, sono rimasto scioccato, come immagino sia accaduto a molti, dalle notizie dei nuovi attentati terroristici che hanno colpito Bruxelles, ovvero il centro geografico e politico della nuova Europa. Che, da quasi un ventennio, gli stati nazionali dell’Unione provano a costruire.

Con molta, anzi troppa fatica. O, talvolta perfino malcelato, disinteresse? E tuttavia, ritengo che i tragici fatti odierni costituiscano piuttosto una conferma per quanto già mi accingevo a scrivere. Ora, con qualche precisazione ulteriore.

In Occidente, e in epoca più recente, le giornate non sono più scandite da un’anticaliturgia delle ore; propria, ma senz’altro antecedente alla stessa fondazione, della chiesa “costantiniana” di Roma, le cui origini risalgono al 325 con la celebrazione e le decisioni assunte dal primo concilio ecumenico mondiale.

Viceversa, le giornate sono ora scandite dagli andamenti dei listini delle borse finanziarie. E’ esperienza comune, anche qui in Italia, che sin dal risveglio, con la notizia degli indici di chiusura delle borse orientali, e per tutto l’arco delle ventiquattr’ore, le nostre vite sono infatti attraversate e talvolta interessate dai flussi di andamento dei listini finanziari. Una sorta di vera e propria, ma alquanto nuova, liturgia delle ore. Che misura il tempo di un mondo, almeno quello occidentale, non più governato dall’ideologia quanto piuttosto dall’economia, e quest’ultima in particolare, finanziaria. Ma è, complessivamente s’intenda, un bene o un male che sia esattamente così?

In Europa, viviamo una “crisi” che dura da quasi dieci anni (2007-2016), i cui prodromi risalgono, a giudizio direi unanime dei cosiddetti addetti ai lavori, alla crisi meglio nota dei mutui subprime statunitensi. Di certo non una crisi del mercato, che potremmo dire tradizionale, relativo alla compravendita immobiliare delle case; viceversa, una crisi del sistema finanziario ad essa legato e causata da un mancato rientro delle somme di debito concesse da intermediari creditizi per l’acquisto dei beni.

Una situazione che, in gergo finanziario, si definisce “bolla”: una fase del mercato in cui si registra un aumento della domanda di un bene e quindi una corrispondente risalita del prezzo del bene, entrambi – domanda e prezzo – ingiustificati. Ancora, quella che si definisce un’asimmetria del mercato del bene, ovvero una differenza tra l’offerta e la domanda del bene, resa manifesta dal prezzo del bene in disequilibrio.

E per l’appunto ora, occorre valutare che, proprio in relazione ai prezzi, la crisi quasi decennale dell’Europa ha registrato dapprima una fase di stagnazione, trasformatasi, forse già da un paio d’anni circa, in una fase di deflazione, ovvero una fase del mercato complessivo in cui il livello generale dei prezzi registra addirittura una diminuzione.

Ultimo episodio emblematico in tal senso, l’opzione della Bce di concedere liquidità alle banche nazionali in cambio di un tasso d’interesse anche negativo. Fino all’extrema ratio, ipotizzata da ambienti Bce ma ieri fortemente ostracizzata dal presidente della Deutsche Bundesbank Jens Weidmann, nota come “helicopter money”. Ovvero, la concessione di liquidità direttamente ai cittadini, e non per il tramite delle banche nazionali, al fine di aumentare i consumi e quindi rilanciare i prezzi e l’inflazione. Nell’ambito di una logica che abbia di nuovo a che fare con il principio e i meccanimi delcapitalismo.

Non più di un mese fa, in un crescendo rossiniano di polemiche rivolte da più parti verso l’Ue, l’ex premier Monti ha sottolineato di fare molta attenzione al fatto che i meccanismi di costruzione dell’attuale Unione Europea sono serviti negli ultimi anni a prevenire e quindi evitare, in un’area geopolitica già vittima di numerosissimi e atroci eventi, nuove e perfino più drammatiche guerre militari.

Pertanto, ora che la guerra è ritornata nel centro della nostra area geopolitica, sarebbe quanto meno opportuno che tutti noi ci chiedessimo se sia naturale ancora pretendere, in generale, il livello di vita a cui siamo stati abituati da decenni di crescita e sviluppo, sociali ed economici. Puntando prima sulla capacità ma soprattutto direi la sostanzadella forza produttiva delle generazioni belliche e immediatamente postbelliche e poi su quelle che definirei viceversa forme politiche di un capitalismo globale capace di: abbassare i costi di produzione, ridurre le intermediazioni di mercato e quindi abbassare anche i prezzi dei beni, e per l’effetto ridurre i redditi disponibili di una middle class, i cui livelli quantitativi di presenza e partecipazione diminuiscono anch’essi, ma da molto più tempo relativo.

In conclusione, dico che è e sarà ancor più l’ora di rimboccarsi nuovamente le maniche! Sperando che la politica occidentale e in particolare quella europea, a seguito dell’economia e contro l’ideologia integralista, decida di fare appieno la sua parte, promuovendo in via definitiva ogni forma d’integrazione e stabilità, in un ambito di area prima geopolitico e quindi globale. Affinché perduri il più antico sogno della civiltà, che non vi siano più barbari oltre i confini dell’Impero.

Angelo Giubileo

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