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Sicurezza, sicurezza (di Cosimo Risi)

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A leggere di vertici straordinari che annunciano misure straordinarie, il pubblico è comprensibilmente frastornato. Nel 2001, dopo il famigerato 11 settembre, gli Occidentali dichiarano la guerra al terrore per accorgersi, un decennio dopo, che il terrore dichiara guerra all’Occidente.

Quella che doveva essere un’offensiva da portare nei santuari del terrorismo (Afghanistan e Iraq) si è trasformata in guerra di trincea. Noi qui ad aspettare il prossimo attacco, giocando sulle probabilità che non si scateni proprio a casa nostra ma semmai a casa del vicino, tanto è pronta la catena della commozione e della solidarietà.

Una consapevolezza si fa strada: sicurezza interna e sicurezza esterna sono complementari.  Gli indizi sono così numerosi e convergenti che diventano prova. I profughi arrivati o in arrivo provengono  in prevalenza da Afghanistan, Siria, Iraq, Libia. Guarda caso da paesi che da anni vivono guerre civili a dichiarata matrice religiosa e per il controllo delle risorse (Libia, Iraq). Se non si prosciuga la fonte, la corrente ci travolge. Se non si pacificano i paesi, o almeno s’impone una tregua durevole fra i belligeranti, la popolazione è spinta a muoversi in direzione Europa. I flussi vengono anche da più lontano: dall’Africa nera e dal Corno d’Africa, dove pure guerre e miseria dettano legge, ma trovano facile accesso all’Europa perché gli stati costieri (Libia) sono del tutto permeabili se non complici.

Gli attentatori di Bruxelles, come quelli di Parigi, sono cittadini europei, alcuni di loro hanno maturato un’esperienza sul campo addestrandosi nel territorio controllato dal Califfato. Alcuni sono combattenti esteri (foreign fighters) di ritorno. Tutti hanno maturato un’avversione profonda per il paese che li accoglie e nel contempo li esclude dal circuito del benessere. Manca loro lo “standing”, un’espressione  belga che indica il rango sociale. Se diventassero dirigenti di qualche azienda, o almeno aspirassero in concreto a diventare tali, sarebbero ostili alla società di accoglienza? Il dilemma si pone: integrazione o distinzione. Integrare significa  praticare una forma di egemonia culturale: tu stai in Occidente e ne recepisci i principi di fondo. Distinguere significa che riproduci qui il bozzolo di usi e costumi di un paese che conosci a malapena e dove comunque non andresti per mancanza di prospettive.

Gli attentati ci mettono di fronte alla tragedia delle vittime ed agli interrogativi profondi. Interrogativi sulla nostra natura di civiltà che pretendono di avere lasciato alle spalle le rimembranze della guerra e  si trovano a combattere senza volerlo e spesso senza saperlo.

La prima reazione, al di là dell’emergenza, sta nella ricucitura dei due momenti: della sicurezza interna con la sicurezza esterna. Sta nell’armonizzare le risposte nazionali in risposta europea. Nessuno può onestamente pensare di farcela da solo.

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