Se ne va un Re, non solo della pasta ma dell’industria.
E se ne va proprio in un momento storico in cui avevamo ancora bisogno di lui, della sua esperienza, per provare a valicare i confini della crisi economica e riprendere quota, uscire dalla turbolenza, magari anche grazie ai suoi consigli, alla sua esperienza. Il Cavaliere era al tempo stesso industriale e ultimo degli operai, per quella cultura del lavoro che ne ha guidato i passi fin dall’inizio del cammino. Anche la prova cottura spettava a lui, era il primo ad assaggiare la pasta, per certificarne la qualità o individuare piccoli difetti da eliminare.
Un colosso nostrano che tutti ci invidiavano, capace di trasformare un cognome tipicamente meridionale in un marchio di livello mondiale: Amato. Giuseppe, capostipite dell’azienda-famiglia composta da figli e nipoti, originario di S.Cipriano Picentino, conosceva vita, morte e miracoli del grano e della semola, così come dei libri contabili. Braccio e mente, anima e cuore di una realtà che ha sempre galleggiato fieramente tra i primi posti della classifica delle aziende nazionali, per quota di mercato e fatturato. Traguardi che gli hanno cucito addosso i gradi di Cavaliere del Lavoro e che l’hanno portato negli anni a ricoprire prestigiose cariche, come quella di Presidente dei pastai industriali e leader degli industriali della Campania. Un uomo che difficilmente si piegava, davanti alle tempeste. Perchè poi sono arrivate anche quelle, come la cronaca ha raccontato negli ultimi anni. Un fallimento che non è mai stato personale. Un incidente di percorso che gli aveva lasciato qualche ferita nell’anima, da suturare e curare con l’unica medicina utile: l’affetto dei familiari. Salerno oggi piange la scomparsa del suo Cavaliere più Amato. Un uomo di altra pasta (Fonte LIRATV di Ivano Montano).
Gigi Casciello oggi direttore di Metropolis lo raccontava così nel 2012 su “I Confronti”
La vita scandisce i giorni in maniera impietosa, sa essere ciclica, persino ripetitiva. Ed alla fine presenta il conto e lo fa mantenendo fede al senso dei giorni. Nel giugno del 1958, era il 25, veniva costituita a Salerno la Antonio Amato & C. Molini e Pastifici Spa, nel giugno di 54 anni dopo si abbatte la mannaia della giustizia sull’erede prediletto, su colui che avrebbe dovuto rappresentare la continuità aziendale e della famiglia: Giuseppe Amato junior.
Peppino, lo chiamano tutti così, come chiamano anche il nonno, il Cavaliere al quale lo zio Antonio, il fondatore dell’azienda, aveva affidato il destino del pastificio, non ce l’ha fatta. Troppo fragile, troppo complesso l’ingranaggio aziendale nell’età della crisi dei consumi, e forse troppo debole lui, nel rapporto con quanti si erano avvicinati all’azienda con la promessa di un salvataggio che alla fine si è rivelato un abbraccio mortale. Certo, il crollo dei consumi ha avuto il suo peso ma è sconcertante come l’azienda simbolo di Salerno, una delle più affermate in Italia e nel mondo nel settore pastaio, si sia sbriciolata sotto un mare di debiti nel giro di non più di sette anni.
Appena nel 2006 il nome della Pasta Amato era legata in qualità di sponsor a quello della nazionale di calcio che con la guida di Lippi conquistò il mondiale in Germania. Poi l’eclissi, l’azzardo di percorrere la stessa strada del fondatore Antonio che nell’Italia del dopoguerra decise di costruire e vendere in proprio gli appartamenti costruiti dove un tempo c’era il vecchio mulino su corso Garibaldi nel cuore di Salerno. Dopo 50 anni nelle pieghe dell’ordinanza di custodia cautelare si legge invece che gli Amato avrebbero deciso di far da sé con la Amato Re srl perché, nonostante i molti incontri con imprenditori campani disponibili ad investire e realizzare un parco residenziale sull’area dell’ex pastificio, non sarebbe stata avanzata alcuna offerta che mettesse l’azienda madre in condizione di avere la liquidità necessaria e ripianare le perdite.
Chi conosce bene le vicende interne alla famiglia Amato assicura invece che qualche proposta che avrebbe messo in condizione il pastificio di entrare in possesso dei venti milioni di euro necessari, senza indebitarsi con le banche, sarebbe stata avanzata. Ma nell’occasione sarebbe stato fatale il peso assunto da Giuseppe Amato junior nelle decisioni. Senza dimenticare che il via libera del Comune, altro elemento non trascurabile, sarebbe arrivato solo di fronte ad un progetto di grande attrattiva. Nacque così l’idea, non meno sciagurata, di affidare l’incarico del progetto all’archistar Jean Nouvel. Ora dicono che il progetto andrà avanti lo stesso nonostante il fallimento della “Amato Re srl” perché chi aveva versato anche l’anticipo per acquistare casa avanzerà una proposta di acquisto dei suoli. Si vedrà.
Di sicuro sono lontani i tempi della simbiosi assoluta tra il Pastificio Amato e Salerno. Il Cavaliere Giuseppe Amato non si tirava mai indietro. Fu lui ad evitare il primo crac della Salernitana calcio, unico vero motivo per cui a Salerno ci si esalta o ci si deprime, negli anni Ottanta quando promosse e guidò la Fisa, una finanziaria alla quale aderirono i più importanti imprenditori della città. Ma naturalmente l’impegno finanziario più importante fu quello di Giuseppe Amato che non fece mancare anche l’intervento del Pastificio come sponsor.
E perché dimenticare e tacere che a Salerno per decenni non c’è stata iniziativa che non chiedesse ed ottenesse l’intervento del Pastificio: dalla sagra alle iniziative sociali, dalla pubblicità su qualsiasi iniziativa editoriale venisse intrapresa a quelle della Chiesa locale. E poi gli interventi a San Cipriano Picentino, paese natale degli Amato, dove da sempre il pastificio ha sostenuto finanziariamente un asilo intitolato a Domenico Amato, l’unico figlio maschio di Antonio, il fondatore, morto prematuramente. Di lì la decisione di affidare le sorti del pastificio e della famiglia al nipote Giuseppe che avrebbe poi sposato la cugina Maria, figlia di Antonio. L’altra figlia, Anita, andò in sposa a Filippo Menna, figlio di Alfonso Menna, indimenticato sindaco di Salerno dal 1956 al 1970.
Giuseppe Amato, don Peppino per tutti, seppe ripagare la fiducia dello zio. E la crescita ed il successo furono la sua fortuna: scalata alla finanza che conta (anche una lunga presenza nella Banca del Cimino), nei salotti buoni con la nomina a consigliere di amministrazione dell’Edime, ex editore de Il Mattino prima che il quotidiano passasse a Caltagirone, un lungo corteggiamento della politica che lo voleva anche presidente della Regione Campania, il rapporto solido con i nuovi della seconda Repubblica, consolidato con l’elezione a parlamentare dell’allora genero Franco Di Comite nelle fila di Forza Italia.
Al cavaliere Amato non è mancato qualche incidente di percorso: il nome iscritto nella P2, i guai giudiziari procurati dal nuovo stabilimento nella zona industriale per l’inchiesta sull’Asi condotta nel ’98 dall’allora sostituto procuratore di Salerno Filippo Spiezia.
Ma prima ancora i dolori, la morte del figlio Mimmo nel 1986, quella della moglie Maria e per ultima la fine della figlia Gabriella, stroncata da un male che non perdona, meno di un mese fa. Ed ora per don Peppino, in un giorno di fine giugno, esattamente come nel ’58 quando entrò in uno studio notarile per costituire la società del Pastificio, un altro colpo, terribile: gli arresti domiciliari per Peppino, il nipote prediletto, il figlio di Mimmo, che forse aveva più amato tra i figli, il più geniale ed il più ribelle.
Tutto inizia e tutto finisce ma che fastidio ascoltare i commenti a mezza bocca, gli sfoghi moralisti su internet, le sentenze emesse senza processo. E che strana sensazione leggere nell’ordinanza di custodia cautelare i giudizi morali sugli indagati con aggettivazioni che un magistrato dovrebbe risparmiarsi, condanne inappellabili nonostante non si sia nemmeno giunti ad una richiesta di rinvio a giudizio.
Ma questo è il Paese in cui viviamo. Un’Italia smemorata, sempre alla ricerca di nuovi eroi, di capi da rinnegare e mettere a testa in giù, di un insaziabile affrancarsi per un incontrollato plebeismo.
E questa è anche la storia degli Amato, la famiglia che a Salerno diede lavoro ed onore e che ora il popolo smemorato ha già condannato alla vergogna.
da Iconfronti.it 28 giugno 2012 (di Gigi Casciello)
Profondo cordoglio degli industriali salernitani per la scomparsa del Cavaliere del Lavoro Giuseppe Amato.
Il Presidente Maccauro: “Con lui scompare una figura di imprenditore e di esponente confindustriale che ha segnato la storia dell’industria salernitana e italiana”.
“La scomparsa del Cavaliere del Lavoro Giuseppe Amato rappresenta una grave perdita per la comunità salernitana. Di Lui desideriamo ricordare le doti di grande umanità, il grande equilibrio ed il forte attaccamento al sistema di valori della rappresentanza confindustriale. Il Cavaliere ha sempre profuso il massimo impegno al servizio degli industriali salernitani ricoprendo più volte la carica di Presidente e segnando passaggi importanti nel percorso di crescita della nostra Associazione, uno per tutti l’acquisto della attuale sede in via Madonna di Fatima.
Il suo spirito di servizio e la sua dedizione d’altro canto, ben sintetizzano il valore delle eccellenze produttive che hanno contrassegnato la storia dell’industria salernitana e italiana. Il suo esempio resterà impresso in noi che abbiamo avuto la possibilità e l’opportunità di apprezzarne da vicino lo stile ed i comportamenti. A nome mio personale e di Confindustria Salerno esprimo ai familiari tutti i sensi del più profondo cordoglio e dell’umana vicinanza nel triste momento del distacco”.