Trasmesso in diretta da La7, il confronto è stato moderato da una abilissimo Enrico Mentana il quale più volte ha, con eleganza, tra una battuta ed una mimica, esortato le tifoserie che popolavano la platea a non surriscaldarsi.
A dire il vero, i due contendenti non sono apparsi al meglio della condizione: Roberto Giachetti, talvolta nervoso ed aspro nelle risposte, ha dato la percezione che ci fosse un rancore personale nei riguardi dell’interlocutore; ha spesso indugiato sui lavori della bicamerale del 1997 e le mancate riforme, al tempo, annunciate e non attuate dal suo antagonista, anziché soffermansi sulle ragioni del Sì. Dall’altro lato, un Massimo D’Alema insolitamente poco sarcastico e distante dall’aplomb con cui regge di solito la scena durante i dibattiti o replica alle critiche, e più concentrato ad evidenziare gli errori commessi in parlamento dal Pd ed a stigmatizzare le contraddizioni in termini del segretario-presidente, Matteo Renzi, che a spiegare il perché di una scelta.
Se fosse stata una partita di calcio, probabilmente il risultato al 90° sarebbe stato uno stanco 0-0.
Ciò che, invece, emerge prepotente è che, al netto delle scelte dei singoli partiti della opposizione i quali, tuttavia, costruiscono un poderoso e strategico schieramento per il no, appare sempre più evidente che la vera battaglia per l’imminente referendum si stia consumando tutta in seno al Partito Democratico.
Le anime che lo compongono non stanno affatto offrendo uno spettacolo lusinghiero. Francamente, credo che l’atteggiamento debba essere altro, tanto più quando si è chiamati a responsabilità di rappresentanza politica ed istituzionale, non di una parte, ma di una Comunità nel suo insieme. La dialettica, anche aspra, favorisce certamente l’esercizio della democrazia e costituisce sempre un indiscutibile arricchimento, ma è pur vero che i panni sporchi vanno lavati in famiglia ed immagino che i milioni di elettori dem, ma non solo, apprezzerebbero di più se la quadra la si trovasse all’interno delle proprie mura, anziché assistere ad imbarazzanti contraddittori come se la compagine di provenienza non fosse la medesima.
C’è un interesse superiore da tutelare, si chiama bene comune, sarebbe il caso che, ogni tanto, gli uni, gli altri e, più in generale, ognuno se ne ricordasse, a prescindere e molto oltre una croce su un Sì o su un No.
editoriale a cura di Tony Ardito