Amatrice era l’oratorio della chiesa dove lui sognava di diventare un portiere di quelli grandi e bravi, giocando tra i pali della squadretta poi squadra vera, «Non ero il capitano, non potevo esserlo, ero il più giovane. Vincemmo il trofeo delle sessantanove frazioni che compongono la città dell’Amatrice. Così la chiamo io, così dice la storia, una città che batteva anche moneta».
La storia è antica, la cronaca è feroce e su questa Claudio Lotito ritrova e conserva le memorie «che nessuno potrà cancellare, che nessun terremoto potrà mai portarmi via. Amatrice è sconfitta ma non battuta, come nel calcio può rivincere, deve rialzarsi, là dove è stata messa in ginocchio. Qui è caduta, qui risorgerà, non altrove, con le stesse forze, con l’energia e la dignità che da sempre hanno accompagnato questa terra. Tra queste strade ho trascorso la mia infanzia, qui la mia adolescenza, qui la mia maturità, quando ho trovato le idee per la mia attività imprenditoriale, frutteti, zootecnica, campi di grano. Sono crollate case, scuole, chiese, palazzi ma i campi non hanno sofferto come gli uomini.
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