Innanzitutto, il 28 settembre u.s. il Governo e le OO.ss. non hanno firmato nessun accordo – vero e proprio – sulle pensioni. L’intesa – sottoscritta dal Governo e separatamente da CGIL CISL e UIL – non ha infatti alcun valore dal punto di vista normativo, tant’è che è stata sintetizzata in un “verbale”, nel quale è detto che le parti “concordano sull’obiettivo di adottare alcune delle misure elencate già a partire dalla prossima legge di bilancio (“fase I”) e di tenere aperto un confronto costruttivo e di merito su ulteriori interventi di riforma previdenziale nel corso del 2017 (“fase II”)”.
Tutto questo significa che, preliminarmente, ovvero nell’ambito della previsione della Legge di Stabilità per il 2017 (da ora in poi, L.S. 2017), occorrerà fare i conti con le risorse finanziarie disponibili per l’attuazione delle eventuali misure di cui alla cosiddetta “fase I”. Ovvero:
- Riduzione delle imposte sulle persone fisiche per i redditi da pensione
In tal caso, l’adozione della misura con la L.S. 2017 sarebbe immediata e consiste nell’aumento della soglia di no tax area per tutti i pensionati (con reddito fino a € 55.000), pari a un importo di € 8.125;
- Aumento dei trattamenti pensionistici di importo basso
Anche in tal caso, l’adozione della misura con la L.S. 2017 potrebbe essere immediata e consiste in “un aumento” (???) dell’importo attuale della “quattordicesima mensilità” (compresa tra € 336 e 504) per “circa 2.1 milioni di pensionati con redditi fino a 1,5 volte il trattamento minimo INPS” (per il 2016, pari a € 501,89 x 1,5= 752,83) e nel riconoscimento dell’importo di “quattordicesima mensilità” per altri “circa 1,2 milioni di pensionati (con redditi fino a due volte il trattamento annuo minimo INPS)”.
Ipotizzando, come è stato ripetuto in questi giorni, che il Governo nella L.S. 2017 renda all’uopo disponibili circa € 1,5 miliardi e che l’importo aggiuntivo di 14 mensilità da corrispondere sia quello minimo pari a € 336, il conto è presto fatto. Per il pagamento dei nuovi importi di 14 mensilità servirebbero non meno di € 1.209.600.000 e in tal caso le restanti somme disponibili ammonterebbero a poco meno di € 300 milioni. E’ quindi logico ipotizzare che l’intero finanziamento di € 1,5 miliardi serva a copertura della misura di cui al punto 2 ante. E le risorse disponibili per il 2017 finirebbero quindi qua!
A riprova di tale assunto, evidenzierei il fatto che le ulteriori “misure” di cui alla “fase I” sono infatti indicate nel verbale come “obiettivi da adottare”, e non invece “interventi da prevedere”, con la L.S. 2017.
- Cumulo gratuito dei periodi contributivi
Ovvero “la possibilità di cumulare tutti i contributi previdenziali non coincidenti maturati in gestioni pensionistiche diverse”, senza oneri per l’iscritto e un importo dell’assegno definitivo di pensione calcolato con il sistema pro-rata in base alle regole di ciascuna gestione;
- Lavoratori precoci
Nel verbale, è classificata una nuova categoria di lavoratori, definiti “precoci”, inclusiva di “tutti quelli con 12 mesi di contributi legati a lavoro effettivo anche non continuativo prima del compimento del diciannovesimo anno di età”. Le misure di favore per l’accesso alla pensione, previste per questa categoria di lavoratori così come individuata nel verbale, necessitano tuttavia di un “confronto” che occorre proseguire tra le parti. Sì che nel verbale è detto anche che “la convergenza resta condizionata all’esito positivo” dello stesso;
- Lavori usuranti
L’“obiettivo”, specificato nel verbale, è anche su questo punto quello “di introdurre nuove e migliori condizioni di accesso al pensionamento” per tutti i lavoratori occupati in “mansioni usuranti ai sensi del decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67”.
In aggiunta alle “misure” predette, è detto anche nel verbale che sempre con la L.S. 2017 (e quindi per la “fase I”), “il Governo (e pertanto, non anche le parti sociali!), a fronte dei vincoli di finanza pubblica che ostacolano soluzioni più ampie, intende comunque introdurre un meccanismo finanziario di mercato che introduca elementi di flessibilità nelle scelte individuali (punti 6 e 7)”.
Il meccanismo, di cui qui si discute, è quello dell’anticipo pensionistico nelle forme della cosiddetta APE – “volontaria” o “agevolata” o con la partecipazione ai costi da parte del datore di lavoro – o cd. RITA. Quest’ultima, riguarda la possibilità di “uscite anticipate e flessibilità della previdenza complementare”.
Il meccanismo dell’APE riguarda invece, per “un periodo di sperimentazione della durata di due anni”, la possibilità in genere per ogni lavoratore “con età anagrafica pari o superiore ai 63 anni e che maturano entro 3 anni e 7 mesi il diritto a una pensione di vecchiaia d’importo (certificato dall’INPS) non inferiore a un certo limite” di accedere al pensionamento anticipato rispetto ai requisiti previsti dalla normativa vigente in materia.
Qui di seguito, e con un esempio sia pure correlato a elementi approssimativi di calcolo, proponiamo un’analisi sintetica di convenienza del meccanismo dell’APE “volontaria”, la cui previsione avrebbe come destinatari tutti i lavoratori senz’alcuna distinzione di sorta. E quindi, specificato che in assenza di cifre occorre ragionare solo in termini d’ipotesi, diciamo innanzitutto che fonti – sembrerebbe meglio accreditate – sostengono che l’“importo non inferiore a un certo limite” sia individuato nell’ordine di € 1.600 lordi per un importo viceversa netto di circa € 1.300 per tredici mensilità.
Il meccanismo illustrato nel verbale prevede che l’APE sia “richiesta presso l’INPS”, che effettuerebbe il calcolo dell’assegno teorico spettante, e sia “finanziata da un prestito corrisposto da un istituto di credito, scelto dal lavoratore interessato tra quelli aderenti ad apposita convenzione stipulata con il Ministero dell’Economia e delle Finanze”. S’ipotizza, anche qui, che il prestito sia concesso a un tasso d’interesse pari a 6,08%, 12,16%, 18,24% corrispondente esattamente alla scelta di accedere anticipatamente alla pensione 1, 2 o 3 anni prima del requisito di vecchiaia previsto in genere dalla normativa vigente (67 anni e 7 mesi), e quindi a un’età di 63, 64 o 65 anni e 7 mesi. L’APE è detto poi che sia “esente da imposte ed erogata mensilmente per 12 mensilità” e che “la restituzione del prestito” avverrebbe invece mediante “rate di ammortamento costanti per una durata di 20 anni a partire dalla data di pensionamento”.
Per un reddito mensile di € 1.300 netti e un anticipo di 3 anni (età del lavoratore: 63 anni e 7 mesi) al tasso complessivo del 18,24% per 20 anni, l’importo da restituire è per quota capitale pari a € 46.800 e per quota interessi pari a € 8.536,32 e quindi un importo di rimborso che in totale ammonterebbe a € 55.336,32 da restituire in 240 rate costanti di € 230,57. Per un ammontare definitivo dell’assegno mensile non più pari a € 1.300 ma a 1069,43 euro netti.
Ciononostante, la valutazione del “meccanismo”, così come illustrato nel verbale, risulta ancora del tutto incompleta. Infatti, cos’è previsto che succeda nel caso che il lavoratore, che abbia beneficiato del prestito, muoia prima della data di scadenza prevista per la restituzione? Nel caso in ipotesi, prima dell’età di 83 anni e 7 mesi (63 anni e 7 mesi + 20 anni)?
In tal caso, il meccanismo prevede che il capitale di debito residuo sia rimborsato all’istituto di credito da un’assicurazione, accesa contestualmente al prestito dal richiedente. Si tratta di una vera e propria polizza “caso morte”, che copre quindi il rischio di premorienza del lavoratore, a cui – si badi bene, e qui sta principalmente il nodo della questione – sono imputati i relativi costi della polizza, in accesso pensionistico anticipato e beneficiario del prestito da restituire nel corso di 20 anni.
Su questo punto, oserei dire che l’ipotesi dell’“APE volontaria” appare perfino irrealistica. Per due motivi, innanzitutto.
Il primo, legato all’odierna aspettativa di vita media, che è pari a 84,7 anni per le donne e a 80,1 anni per gli uomini. E quindi, anche molto al di sotto dell’età ipotizzabile per la definitiva restituzione del prestito da parte del lavoratore, alla scadenza di 20 anni, che potrebbe usufruire del meccanismo dell’APE volontaria a un’età compresa tra 63 anni e 66 anni e 6 mesi.
Il secondo, quale corollario del primo, legato al fatto che le imprese assicuratrici, in genere, non assicurano il rischio di premorienza oltre il 75° anno di vita dell’assicurato. In caso contrario, i premi di assicurazione – già piuttosto consistenti – subiscono ulteriori e ancora più forti incrementi. Un esempio? Ecco, quello che in media appare attraverso una semplicistica operazione di simulazione e calcolo on line:
CAPITALE ASSICURATO= € 50.000
ETA’ ASSICURATO= 62 ANNI
DURATA COPERTURA= 20 ANNI
ANNI PAGAMENTO= 18 ANNI (LIMITE MAX DI PAGAMENTO 80 ANNI)
RATA MENSILE= € 80 (X 216 RATE = PREMIO ASSICURATIVO PARI A € 17.280)
In esito al nostro ragionamento, il meccanismo dell’“APE volontaria” così come illustrato appare in genere troppo oneroso per il lavoratore! Motivo per cui, si spiegherebbe il fatto che le OO.ss., nel verbale, non hanno avallato l’istanza presentata dal Governo, di cui immediatamente precedente al punto 6, e che qui nel testo è stata evidenziata in grassetto.
Angelo Giubileo – Vicedirettore Pensalibero.it