Il primo referendum determinante (in negativo) per la costruzione europea fu quello francese del 2005 sul progetto di Costituzione per l’Europa. La bocciatura francese fu doppiata da quella olandese e di costituzione non si potè più parlare in Europa. Si ripiegò sulla consueta formula del Trattato (quello poi firmato a Lisbona e tuttora vigente) che della Costituzione riprendeva molte disposizioni ma non il nome né la sostanza. La formula adottata – l’Unione sempre più stretta, o ever closer Union per dirla in inglese – è stata talmente urticante per i Britannici che ci hanno imbastito sopra il referendum finito come sappiamo : col Brexit, e cioè con Britannia exit , stavolta in latino perché le cerimonie solenni, come in chiesa, si celebrano nell’antica lingua di Roma.
Il referendum britannico sta provocando tali guasti nel tessuto europeo che soltanto fra anni saremo in grado di valutarli. Il guasto immediato è che se ne conosce il risultato sin da giugno, ma se ne ignora il triggering : quando il Regno Unito, cui spetta la decisione ai sensi del Trattato di Lisbona sopra citato, spingerà il grilletto (trigger) della procedura di recesso. Nel frattempo il Regno Unito sta napoletanamente con un piede dentro e uno fuori. E’ uno stato membro a pieno titolo, e dunque in grado di condizionare le decisioni comuni, ma dalle stesse decisioni può prendere le distanze disapplicandole. Una posizione di comodo. Una volta si sarebbe parlato di Europa à la carte : come al ristorante quando ciascun commensale sceglie il proprio percorso gastronomico mettendo in difficoltà l’oste che deve far uscire svariati piatti allo stesso tempo.
L’Ungheria ora ci prova a delineare il percorso gastronomico all’ungherese : non a base dello speziato gulash ma dell’insipido rifiuto della quota di migranti che le toccherebbe in base alla ripartizione decisa dalla Commissione. Si tratta di un migliaio di migranti che, a fronte delle centinaia di migliaia riparate altrove, sono la classica goccia nel mare. Meglio : nel bel Danubio blu che così blu non è. Quale che sia l’esito del referendum, Budapest introduce una turbativa nelle già turbolente acque europee. Non dice cosa fare con gli immigrati che si riversano dalle nostre parti. Il suo Primo Ministro, in verità, propone di sistemarli in un’isola nel Mediterraneo e là identificarli e orientarli verso la madre patria, ammesso che sia nota, o verso i paesi d’accoglienza (ad eccezione dell’Ungheria, beninteso). Non indica però l’isola, avendo forse in mente Lampedusa, che d’inverno in effetti è poco popolata, o la Sicilia che ha il difetto di milioni di abitanti ma su un territorio abbastanza vasto da ospitare chicchesia.
Il referendum – e l’assermazione non riguarda quello italiano di dicembre – sta diventando una grande prova di deresponsabilizzazione da parte dei gruppi dirigenti europei. Il popolo è sovrano : che decida al posto nostro e poi accada quel che deve accadere.
di Cosimo Risi Docente di Relazioni internazionali
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