La presidente della Dante salernitana, Prof. Pina Basile, ha dato l’abbrivio ai lavori, portando i saluti del Segretario Generale della Dante Alighieri nazionale, Prof. Alessandro Masi e ringraziando, senza non poca emozione, il folto pubblico, che occupava l’intera navata centrale della Cattedrale, composto da professori ed alunni, nonché da molti studiosi e appassionati cultori del poeta, provenienti non solo dalla città, ma anche dalla provincia e da altre regioni, con una rappresentanza di messinesi, accompagnati dal Prof. Sergio Mastroeni, Presidente dell’importante Premio Letterario Internazionale Salvatore Quasimodo, che sarà conferito a Michele Bianco nel febbraio del prossimo anno.
Molte le presenze dell’Ateneo salernitano: Epifanio Ajello, Rosa Giulio, Carlo Santoli, e, ancora, Fabio Dainotti, Presidente onorario della Lectura Dantis Metelliana e altri illustri studiosi e rappresentanti delle numerose istituzioni culturali. Ad introdurre i lavori è stato il prof. Alberto Granese, ordinario di Letteratura Italiana all’Università di Salerno, insigne studioso di fama internazionale, dantista navigato e autore di numerose monografie, recentemente celebrato in una collettanea di studi, offerti in suo onore dai più autorevoli italianisti della penisola.
Il prof. Granese ha evidenziato l’importanza del tema mariano nella Divina Commedia nelle tre cantiche, sottolineando la specificità del contributo di Michele Bianco al dantismo con il suo prezioso volume Reditus ad Deum. Filosofia e teologia in San Bonaventura fra preghiera e mistica, in cui stabilisce un serrato confronto tra il Dottore Serafico e l’Alighieri. Il saggio di Bianco, di oltre 500 pagine, per una metà circa è dedicato al raffronto tra il Poeta e il Filosofo, con uno speciale contributo mariologico: la “donna del loquace silenzio” in Dante e Bonaventura. Nella sua magistrale e poderosa lezione, con rigore espressivo e intenso misticismo che ha pervaso il dato ermeneutico, Michele Bianco, senza mai perdere il filo, ha incantato i presenti trattando argomenti difficili con una partecipazione che trascende il dato culturale e apologetico diventando energia pura nella celebrazione della Madonna, tra l’ammirazione del pubblico scelto e partecipe che ha potuto, con Dante e Bonaventura, approdare alla verità attraverso lo studio, la ragione e la contemplazione, pervenendo al supermentale eccesso della mistica, preludio all’unione con Dio.
Con la tecnica dell’incastro e dello stile circolare, Bianco, esperto dell’arte oratoria, ha sviluppato a braccio, senza il supporto di nessuno schema e citando a memoria numerosi versi, il suo articolato e denso discorso su 5 punti: la presenza mariana nella Divina Commedia e nelle opere minori di Dante; il significato allegorico-morale e figurale del viaggio di Dante nei tre Regni e i suoi modelli letterali; la precellenza della poesia come splendore del bello e gli elementi filosofici e teologici nell’opera dottrinale dantesca e la sua “dipendenza” dal dato scritturale; la visione sintetica e simbolica dell’universo teocentrico nella percezione del sapere in cui prevale la tradizione simbolico-esegetica su quella filosofico-razionale.
L’approccio al mistero di Dio, rileva Bianco, avviene, per Dante, come per ogni credente, attraverso Maria: “A Gesù per Maria”, o, meglio ancora, “A Maria per Gesù”, ponendo l’accento su Maria come donna ecclesiale e icona del mistero in una dimensione simbolico narrativa e storico-bibblica, trinitariocentrica e relazionale a Cristo e alla Chiesa, di cui ella è membro, oltre che modello e Madre, anticipando profeticamente di VII secoli le future svolte conciliari e i successivi documenti mariologici magisteriali.
Michele Bianco attraversa e sintetizza secoli di storia e di teologia presentando brevemente la storia mariologica dalle origini a Dante nel parallelismo Eva-Maria (Ireneo e Giustino) nel comune consentimento dei padri orientali e occidentali della concezione verginale di Gesù, fino ai grandi Concili di Efeso (431), che proclama Maria Theotókos (colei che ha partorito Dio), ossia Madre di Dio, e Costantinopolitano II, che dichiara la Madonna “sempre Vergine” (553).
Da allora è unanimemente proclamata la perpetua concezione verginale di Gesù da parte di Santa Maria: Vergine, Madre, Sposa, mettendola, simbolicamente, in relazione col mistero in una riflessione biblica, storica e teologica che unisce la prospettiva cristotipica o discendente e quella ecclesiotipica o ascendente, senza perdere mai di vista l’aspetto relazionale di Maria con la Trinità e con la Chiesa, lontana dalla mariologia autonoma inaugurata agli inizi del 1600.
Nel Medioevo si diffonde il Mariale (Alberto Magno e Bernardo) con le lodi alla Vergine e nei secoli XI e XII prevale l’aspetto regale che celebra Maria come Signora, Regina del Cielo, Donna; col francescanesimo si sostituisce alla Madonna che siede sul trono come Regina la tenera mamma che allatta il bambino e che, sotto la Croce, soffre col Figlio, trapassata dalla spada del dolore, Avvocata, Madre di Misericordia, Mediatrice di grazie.
Nei 250 versi di Dante dedicati alla Vergine ci sono i 200 versetti a lei indirizzati dai 27 libri del Nuovo Testamento: dalla Madre verginale di Matteo alla Vergine salutata dall’Angelo, di Luca, alla Madre che partecipa alla rivelazione della gloria del Figlio a Cana, di Giovanni, e che è, con Giovanni stesso, sotto la Croce; ma vi sono anche l’antica testimonianza di Paolo di Galati e di Apocalisse 12 della Donna vestita di sole, donna biblica e protagonista. Il relatore si sofferma su tutti questi aspetti e su molti altri ancora, sul significato letterale e allegorico del viaggio del Poeta cristiano che evolve ogni allegoria e la stessa filosofia in teologia.
La terzina numerologica conferma il trinitariocentrismo del poema e dell’universo: 14223 versi in terza rima in 3 cantiche di 33 canti. Ma 3 sono anche le donne comprimarie nella Vita Nuova, nel Convivio e nella Commedia: Maria, Lucia e Beatrice. Virgilio, simbolo della ragione, prima guida di Dante, rappresenta l’“umanar”che il poeta dovrà riscoprire, dopo lo smarrimento nella selva e la sua compunzione, nei primi 2 Regni, mentre Beatrice “ch’è opra di fede” rappresenta il “trasumanar” che lo purificherà ulteriormente nel Paradiso terrestre, accompagnandolo fino alla “sobranza”.
Per la visione di Dio, come asserisce Pietro di Dante, non basta la teologia, ma occorre la mistica, ossia San Bernardo, terza e ultima guida del Poeta. Il Prof. Bianco parte proprio dai celeberrimi versi del II Canto dell’Inferno, noti come “Prologo in cielo” che hanno Maria come protagonista: “Donna è gentil nel ciel che si compiange / di questo impedimento ov’io ti mando, / sì che duro giudicio là sù frange”. Maria appare fin da subito mediatrice di tutte le grazie, come dirà il Poeta nell’ultimo canto del Paradiso e senza di lei non ci sarebbero stati né il viaggio di Dante né la Divina Commedia; ella ne è la vera protagonista, più che Beatrice che, per Bianco, è presentata da Dante come una controfigura della Madonna.
Grazie a Maria Dante comincia il viaggio, visitando l’Inferno e percorrendo il Purgatorio, terra di Maria, la cui “benignità non pur soccorre / a chi dimanda, ma molte fiate / liberamente al dimandar precorre”. Lei è la Regina che può ciò che vuole e frange il duro giudizio di Dio: Maria chiama Lucia, questa va da Beatrice e Beatrice da Virgilio e Virgilio da Dante e Dante va fino al fondo dell’Inferno, fino alla cima del Purgatorio e fino al Paradiso, e, per Maria, fino all’ “ultima salute”.
Fra due sguardi di Maria, uno iniziale all’ingiù e l’altro finale all’insù si dipana tutto l’ordito della Divina Commedia. Sulla parola Donna lo studioso indugia in modo innovativo citando i modelli iconografici mariani dei primi secoli: Maria come Hodighitria, conduttrice, Eleusa, misericordiosa, e Kiriotissa, regina. Ma la parola Donna è biblica e indica la Corredentrice, la Mediatrice e l’Addolorata. Richiama la donna di Genesi che schiaccia la testa al serpente, la partoriente di Betlemme di Michea, la donna di Apocalisse 12, la donna di Cana, la donna di Galati, ossia la donna biblica per eccellenza.
Nei primi versi mariani Dante presenta, per Bianco, tutto lo sviluppo di Maria mediatrice dell’Antipurgatorio, modello di virtù del Purgatorio, richiamando anche i titoli dossologici degli ultimi canti del Paradiso. Maria è menzionata 42 volte, di cui 21 col nome: 9 nel Purgatorio e 12 nel Paradiso, e altre volte è citata come donna, donna del cielo, regina, vergine, madre, augusta, ecc.
Nei canti del Paradiso vi è un susseguirsi di lodi alla “rosa in che il verbo divino / carne si fece”, alla “bellezza che è letizia”, alla “stella mattutina”, alla “augusta”, alla “regina”, al “bel zaffiro / del quale il ciel più chiaro s’inzaffira”. Maria è invocata dal poeta mattina e sera ed è fiamma di carità per i beati e fonte di speranza per i mortali, i cui occhi da Dio sono diletti e venerati; e siamo già all’orazione finale, che è preghiera e discorso solenne insieme, il cui contenuto profondamente teologico fa il paio con la forma divinamente poetica.
Molto interessante la riflessione sull’Immacolata Concezione di Maria, leggendo scotianamante il verso “termine fisso d’etterno consiglio”, che lascerebbe presagire una preservazione dalla colpa in vista dall’incarnazione. Maria riceve la pienezza di grazia passivamente, ma collabora attivamente alla generazione del Figlio di Dio in un legame di grazia e di natura. Mentre Dante scrive il Paradiso, Scoto afferma la redenzione preservativa di Maria, motrice e ispiratrice della Divina Commedia, come dal Tommaseo ai critici moderni è stata riconosciuta.
Anella Puglia