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L’UNESCO e Gerusalemme : il voto dell’Italia e di altri stati europei (di Cosimo Risi)

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Al mondo nulla è più controverso della città di Gerusalemme. Già dal nome denota controversie: è Al – Quds, la Santa, per gli arabi; è Yerushalayim, fondamento della pace, per gli ebrei. Non per caso  qualsiasi piano di pace sul Medio Oriente, persino gli accordi di Parigi che valsero il Premio Nobel  all’appena scomparso Shimon Peres, lascia per ultimo il capitolo Gerusalemme, nella consapevolezza che sarebbe talmente intricato da far abortire sul nascere qualsiasi tentativo di compromesso.

Gerusalemme è il fulcro delle tre religioni monoteiste e soprattutto la capitale « auto-dichiarata » dello Stato d’Israele e la capitale « auspicata » dello Stato di Palestina. E’ centro religioso e politico insieme. Non vale rammentare il caso di Roma, anch’essa capitale di due stati, la Repubblica italiana e la Santa Sede. A Roma ci sta un modus vivendi fra le due entità per la gioia delle strade invase dai torpedoni dei pellegrini nei giorni delle manifestazioni religiose.

L’UNESCO ora inciampa sulla risoluzione su Gerusalemme. Il nucleo della risoluzione verte sulla tutela dei luoghi cari a ebrei e musulmani che sono indicati col solo nome arabo. Quello che conosciamo comunemente come il Muro del Pianto, o Western Wall (muro occidentale), viene indicato nella risoluzione soltanto col nome arabo di Haram al-qudsi al-Sharif. Ciò a significare – sostengono i promotori della risoluzione – che Israele, in quanto potenza occupante, deve rispettare i diritti dei musulmani ad accedere liberamente ai luoghi di preghiera della Spianata delle Moschee. Per converso, l’uso della sola denominazione araba suona inaccettabile agli israeliani, che avrebbero  gradito anche la dizione ebraica di Har HaBayit, il Monte della Casa [del Signore], oppure, al limite, quella neutra inglese di Temple Mount, il Monte del Tempio.

Da una parte sta dunque la volontà delle delegazioni arabe all’UNESCO, guidate dalla palestinese, di richiamare Israele alle sue responsabilità di occupante, in linea con un’abbondante letteratura ONU che risale agli anni sessanta del XX secolo. Dall’altra interviene la critica di Israele nel vedere cancellato, con una redazione a dir poco frettolosa, l’atavico legame del popolo d’Israele col principale luogo di culto.

La risoluzione è passata a maggioranza, col voto favorevole delle delegazioni arabe, il voto contrario di alcune delegazioni occidentali (Stati Uniti, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito), l’astensione di altre delegazioni fra cui Italia e Francia. La critica per il voto UNESCO investe  l’Italia. L’astensione è un’espressione perfettamente legittima sul piano procedurale e  abile sul piano diplomatico. E’ segno di equidistanza fra le parti o, come avrebbe detto Giulio Andreotti sempre a proposito del Medio Oriente, di “equivicinanza”.

La nostra astensione suscita la reazione veemente della comunità ebraica. La Presidente della comunità romana, la più numerosa e influente, ne scrive al Capo dello Stato mettendolo in guardia circa le rimostranze che egli  riceverebbe nella visita in Israele qualora l’Italia nel frattempo non corregga il tiro. La risoluzione è comunque irrevocabile e l’Italia può tentare di svuotarla di significato con una serie di atti. Questo chiede il Capo del Governo al Ministro degli Esteri e subito merita il plauso della comunità ebraica e del Primo Ministro d’Israele.

di Cosimo Risi

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