LA RICOSTRUZIONE IN SIRIA – Restituire a Palmira il suo splendore e ricostruire quanto distrutto dall’ISIS per restituire ai siriani ciò che faceva parte del loro patrimonio e del loro ambiente culturale: è il monito partito dalla XIX Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, dedicata proprio alla città carovaniera simbolo della furia del Califfato e finalmente tornata sotto il controllo dell’esercito regolare. “I nostri esperti in archeologia e architettura sono già al lavoro e stanno elaborando un piano di studio anzitutto per ripristinare i servizi, le infrastrutture e la sicurezza della zona di Palmira. – ha spiegato a margine dell’incontro il Direttore del Marketing e Promozione del Ministero del Turismo a Damasco Barsek Bassam – Presto sarà stilato un elenco di cose da fare per la ricostruzione, con una previsione certa dei tempi richiesti. Siamo assolutamente concordi che andrà fatta con il coordinamento di Istituzioni internazionali come l’Unesco e l’ICCROM”.
“Pieno rispetto della sovranità nazionale, coordinamento e controllo dell’Unesco e ampia collaborazione internazionale” sono i tre principi a cui si dovrà attenere la ricostruzione del patrimonio culturale e monumentale in Siria secondo Paolo Matthiae Archeologo e Direttore della Missione archeologica in Siria “Sapienza” Università di Roma, il quale ha avvertito che sarebbe “inaccettabile un neo-colonialismo” in quello che lui ha definito “Il paese più ospitale e generoso per le autorizzazioni alle operazioni di scavo”, ricordando i gravi danni della crisi come “le oltre trentamila fosse di scavi clandestini stimati solo ad Apamea”.
“Bisognerà restituire alla popolazione i siti come erano, anche se si tratta di riproduzioni, se questo sarà il loro desiderio”, ha raccomandato l’Ambasciatore Unesco Francesco Caruso, Consigliere ai Rapporti Internazionali e all’Unesco del Presidente della Giunta Regionale della Campania, che ha puntato il dito sui rischi della radicalizzazione dell’ideologia anche dell’Occidente e ha aggiunto: “riprendiamo la via politica armati di cultura”. “Non posso immaginare di vedere il Parco Archeologico di Palmira senza l’Arco monumentale. Sono sicuro che sia giusto ricostruire tutto come era e soprattutto lavorare per restaurare la mentalità dei nostri bambini che hanno visto bombe, sangue, distruzione”, ha detto Mohamad Saleh, protagonista, insieme a Fayrouz Asaad anche di un commosso incontro con i protagonisti.
Un lungo applauso ha accolto la figlia dell’archeologo trucidato dall’ISIS, giunta a Paestum dalla Germania dove si è rifugiata un anno e mezzo fa con il marito e la figlia e dove ha da poco ripreso i suoi studi in archeologia. Già assistente del fratello Walid, ultimo Direttore della Città Antica e del Museo di Palmira, ha raccontato di aver visto con i suoi occhi quello che “gli ignoranti” hanno fatto al suo Paese. “Sono molto contenta di essere con voi – ha detto Fayrouz con la voce rotta dalla commozione – grazie mille all’Italia e alla Borsa per quello che ha fatto per la Siria. Grazie a Dio mio padre è morto prima di vedere la distruzione dei monumenti che tanto amava. Adesso vedo l’anima di mio padre attraverso voi. L’Italia è famosa per i suoi esperti archeologici e spero che possa partecipare al restauro di Palmira quanto prima”. Intanto, gli italiani potranno presto scoprire i tesori della città raccontate proprio da Khaled al-Assad: grazie ad un’iniziativa di Archeo patrocinata dall’Unesco, sarà tradotta in italiano la guida scritta in inglese dall’archeologo. “Spero sia pronta massimo per inizio 2017 – ha spiegato il direttore della rivista Andreas Steiner – e che sia di buon auspicio affinché si possa tornare a visitare Palmira quanto prima”.
L’ANNUNCIO DI HAWASS – Sarà esposta eccezionalmente a Roma a giugno 2018 la maschera funeraria di Tutankhamon: lo ha annunciato oggi a Paestum alla BMTA Zahi Hawass, Segretario generale del Consiglio supremo delle Antichità Egizie e massimo esperto in materia, protagonista di un seguitissimo incontro in Basilica. “La maschera è stata finalmente riportata al suo splendore da un nuovo recente restauro – ha raccontato l’archeologo – e dalla fine del prossimo anno la porteremo in giro per il mondo, fino ad esporla a Roma. Vogliamo che i rapporti tra le nostre nazioni riprendano fortissimi come una volta. Dovete tornare in Egitto: abbiamo bisogno degli italiani per tenere vivi i nostri monumenti. Vi assicuro che ora il mio Paese è sicuro”.
Spaziando a tutto campo, l’egittologo si è scagliato contro “i musei che vendono antichità come quello di Toledo in Ohio e contro i folli dell’ISIS che hanno l’obiettivo di rubare i nostri tesori per rivenderli. Chiunque compera opere rubate è un collaboratore dell’ISIS. L’Unesco deve insegnare a chi lavora nei musei in Libia, Iraq e Sira come nascondere i propri tesori”. Hawass ha poi raccontato come i comandanti dell’esercito siano intervenuti a preservare i tesori custoditi al Museo de Il Cairo durante i due anni di crisi tra il 2010 e il 2011 (“mille tombaroli hanno provato a depredare il museo”), per poi illustrare come, per la prima volta, si stiano eseguendo le scansioni delle Piramidi grazie ai nuovi radar messi a disposizione per le ricerche del team scientifico di cui è capo tra Il Cairo, Alessandria e la Valle dei Re, in quest’ultimo sito con tecniche progettate in Italia in collaborazione con l’Università di Torino. “Forse già a dicembre riusciremo ad annunciare nuove grandi scoperte. Intanto posso confermare anche a voi che sotto la Sfinge non ci sono gli alieni” ha scherzato, mostrando le immagini frutto di 32 perforazioni effettuate con le nuove tecniche che confermano come sotto la roccia non ci sia nulla.
L’ALLARME DEGLI ARCHEOLOGI ITALIANI – In Italia la ricerca archeologica pubblica è in pericolo. E questo perché il ritardo accumulato nella ratifica di un importante documento internazionale come la Carta di La Valletta del 1992, ma anche la mancata osservanza dell’Archaeological Urban Project del 2000 (nemmeno mai tradotto nel nostro Paese) fanno sì che tutto il settore viva una situazione di grave sofferenza. Il colpo di grazia potrebbe darlo la recente riforma delle Soprintendenze, che ha generato ulteriore confusione nel settore, di fatto scaraventandolo in un cono d’ombra.
Il grido d’allarme – corale – è stato lanciato, alla presenza della Direttrice dell’Istituto Centrale per l’Archeologia del MiBACT, Elena Calandra, da tutti gli archeologi professionisti che hanno preso parte alla tavola rotonda, introdotta e moderata da Giuliano Volpe, Presidente della Società degli Archeologi Medievisti Italiani, sul tema “Da La Valletta a Faro: l’archeologia italiana e il patrimonio culturale alle soglie del terzo millennio”. Particolarmente circostanziata la denuncia del Presidente dell’API (Archeologi del Pubblico Impiego), Italo Maria Muntoni: “Il 90% degli scavi condotti dalle Soprintendenze – ha detto – sono scavi d’emergenza, a committenza pubblica e privata, e la decisione di far rientrare l’archeologia preventiva nel Codice degli appalti svilisce tutto il settore. La recente riforma introduce un elemento ulteriore di confusione tra la tutela architettonico – paesaggistica e quella archeologica, a discapito di quest’ultima, che diventa una sorta di Cenerentola”.
A Muntoni hanno fatto eco Laura Torsellini e Francesco Mele, intervenuti in rappresentanza rispettivamente della Federazione Archeologi Professionisti e della Confederazione Nazionale Archeologi Professionisti. Per la Torsellini, il lavoro archeologico dovrebbe contribuire a creare il paesaggio urbano del futuro, e l’archeologo entrare a far parte del team di progetto per ogni opera di trasformazione urbana. Anche, ha aggiunto, per far venir fuori il cosiddetto “genius loci”, attraverso il recupero e la conservazione in situ delle testimonianze del passato. Una cosa che avviene in tutto il mondo tranne che nel nostro Paese, che ancora non ha recepito del tutto l’Archaeological Urban Project. Sulla stessa linea si è collocata Grazia Semeraro, Presidente delle Consulte Universitarie di Archeologia (sono quattro in tutta Italia): “È indispensabile – ha detto – una revisione normativa del Codice dei Beni Culturali, che definisce genericamente ‘cose’ i reperti del passato. La libertà della ricerca archeologica è a rischio – ha concluso la Semeraro – e questo è un tema non specialistico, né di settore, ma culturale e civile”. Le sollecitazioni emerse dal dibattito sono state recepite dalla Direttrice Calandra, che ha assicurato che il MiBACT si sta muovendo proprio per rimuovere gli ostacoli segnalati al libero sviluppo della ricerca archeologica.
LA LECTIO MAGISTRALIS DI MARIO TOZZI – E se il genere umano discendesse direttamente dalle catastrofi, dal Big Bang al Diluvio universale, alle grandi e spaventose eruzioni vulcaniche, ai devastanti terremoti e maremoti che nei millenni ne hanno segnato la nascita, l’evoluzione e la permanenza sulla Terra? Inquietante, ma anche appassionante e ricca di suggestioni la domanda su cui il geologo Mario Tozzi ha costruito la propria lectio, in una Basilica Paleocristiana gremita in ogni ordine di posti. Con un excursus affascinante, condotto con il tono affabulatorio che gli è consueto, Tozzi, vecchio amico della BMTA, ha ricostruito la Storia dell’Umanità attraverso le grandi sciagure che, secondo lui, ne avrebbero determinato il corso. Più delle scelte politico – militari, economiche e sociali. Sconvolgente la conclusione: davanti a due carte del Pianeta, una con l’indicazione delle zone a più alto rischio di eventi catastrofici, l’altra con la distribuzione della popolazione, Tozzi ha dimostrato che l’uomo continua a scegliere di stare dove è più pericoloso vivere. “Perché – ha commentato in un diluvio di applausi – se è nato dalle catastrofi non può fare a meno di tornare nel punto da cui tutto ha avuto inizio”.