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Dopo la Brexit il Veneto via dall’Italia: lecco la data della Venexit

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O il 2 o il 9 aprile 2017. Ci sono due ipotesi di data per il referendum autonomista in Veneto. Sarà consultivo, sul modello della Brexit, ma vista l’aria che tira in tutto l’Occidente, il voto indipendentista potrebbe essere l’inizio di un percorso pericoloso per un’Italia concentrata solo su Renzi e non sul vero stato di salute del Paese. Sul malessere che cova nelle zone produttive e che nessun partito sta riuscendo a interpretare. Luca Zaia, presidente del Veneto, ha annunciato la consultazione in Argentina, al circolo della comunità trevigiana, una delle tappe del suo tour in America Latina per incontrare gli emigranti dall’ex Serenissima. Milioni di persone, che il Doge vorrebbe coinvolgere proprio nel referendum autonomista.

Facile per qualcuno liquidare la questione come folclore. Soprattutto adesso che la Lega è impegnata in un percorso di italianizzazione per creare un movimento lepenista-trumpiano e chi più ne ha più ne metta. Peccato che proprio adesso, senza il Carroccio sulla strada, il popolo veneto sarà invece più libero di intraprendere un percorso che partendo dalla richiesta di autonomia, potrebbe sfociare in qualcosa di più grande. La secessione forse è un qualcosa di minoritario, ma la voglia di mandare un vaffa a Roma è tanta. Un recente sondaggio della Demos di Ilvo Diamanti, commissionato dal Gazzettino, ha infatti certificato che il 48 per cento dei veneti vorrebbe l’indipendenza, contro il 47 di cosiddetti italianisti. Come dicevamo, soltanto un 12 è in realtà per la secessione dura e pura. Ma il 52 vuole un’autonomia come quella del Trentino-Alto Adige, ovvero che tutti i soldi fatturati in Veneto restino in Veneto.

Ecco perché l’Italia dovrebbe prendere sul serio il referendum autonomista. Il Veneto regala ogni anno a Roma qualcosa come 20 miliardi, il famoso residuo fiscale, cioè la differenza fra gettito e soldi che ritornano nel territorio sotto forma di spesa pubblica. Se prima o poi si arrivasse a uno statuto speciale sul modello siciliano o altoatesino, per il governo italiano sarebbe un bel guaio: di fatto perderebbe il valore di una finanziaria. Dolori forti. Ben peggiori delle menate provenienti da Bruxelles.
L’emicrania per il presidente del Consiglio, Renzi o chissà chi, potrebbe diventare però permanente, perchè la Venexit fa rumore, ma qua è tutto il Nord che vuole fuggire da uno Stato, capace solo di inventare bonus occupazionali per il Sud e di togliere 400 milioni alla Lombardia, unica regione a zero debito, per regalare 600 milioni alle società campane del trasporto pubblico. Roberto Maroni, presidente dei lumbard, sta percorrendo la stessa strada di Zaia. E probabilmente anche a Milano, così come a Bergamo, Brescia, Varese, Lecco, Como, Cremona, Pavia, Mantova, Lodi, Monza e Sondrio, si voterà il 2 o il 9 aprile per chiedere l’autonomia fiscale dallo Stato centrale. Un voto che potrebbe contagiare pure la Liguria di Giovanni Toti, ormai perno fondamentale della triplice intesa con Zaia e Maroni. Beh, se tutto il Nord chiedesse a gran voce lo statuto speciale, potremmo dichiarare la bancarotta dell’Italia: al bilancio statale mancherebbero quasi 100 miliardi l’anno, il residuo fiscale dell’intero Nord, dove la Lombardia la fa da padrone con 52 miliardi regalati ogni 365 giorni a Palazzo Chigi.

Ripetiamo: qualcuno, sotto la linea gotica, si metterà a ridere dei referendum indipendentisti, come gli amici di Hillary Clinton ridevano di Donald Trump fino a un minuto prima della sconfitta ufficiale della moglie di Bill. Chi non riderà tirerà fuori il solito populismo e i fantasmi della guerra jugoslava (vi ricordate i discorsi della sinistra e di Gianfranco Fini negli anni ’90 contro Bossi?), senza capire che le parole buoniste hanno rotto le scatole. Conta il portafoglio: una volta stava a destra, poi ha cambiato sponda, adesso lo teniamo ben stretto in mano per paura che un amico della Ue ce lo porti via definitivamente. E con i partiti spappolati e i sindacati sorpassati dalla storia, non resta che dare segnali con questi referendum stile Brexit: stavolta vogliamo decidere noi dei nostri soldi, senza farci imporre decisioni dalle banche centrali o dai Napolitano di turno.

Fonte Liberoquotidiano.it

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