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L’Italia fa la voce grossa con Bruxelles sul bilancio europeo (di Cosimo Risi)

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Per la prima volta il bilancio europeo passa con l’astensione della delegazione italiana. Capita nell’anno di grazia 2016 con riferimento al bilancio 2017. L’Unione avrà dunque il suo bilancio ma dovrà considerare che l’Italia s’è messa di traverso. La critica italiana si trasforma in riserva, e non in veto che appartiene al linguaggio ONU e non UE, riguardo alle prospettive finanziarie settennali. Le prospettive finanziarie sono una sorta di programmazione pluriennale dei bilanci europei, ai quali fissano dei paletti in termini di entrate e spese.

Da considerare che i bilanci europei devono sempre chiudersi in pareggio. Sapere con anni di anticipo quanto si potrà spendere aiuta a calibrare le entrate ed a darsi quella che a Roma si chiama « una regolata », una norma di condotta da cui anno per anno ci si potrà discostare solo per frazioni.

Il mugugno italiano è stato spiegato abbondantemente dal Governo con argomentazioni  ad effetto : coi nostri soldi non si costruiscono muri in altri stati membri. Tradotto dal « twitterese » l’apologo svela un ragionamento che qui proviamo ad esplicitare. L’Italia è fra i contribuenti netti del bilancio, e cioè versa nelle casse di Bruxelles più di quanto riceve sotto forma di spesa europea.

Non è un atto di liberalità, ma consegue alla nostra ricchezza che ci pone fra gli stati membri prosperi. Nella classifica stiamo in buona compagnia, spicca ovviamente la Germania che abitualmente paga più di tutti e su questo sforzo basa la sua velleità egemonica. Pago, quindi conto. Gli stati membri orientali, quelli che si oppongono alla riallocazione dei migranti in via politica e giudiziaria (ricorsi stanno davanti alla Corte di Giustizia Europea), si collocano  fra i beneficiari netti del bilancio europeo : prendono più di quanto versano. Il che li colloca nell’altra classifica, quella dei meno prosperi e dunque dei meno influenti sul piano politico. Perché è vero che « uno vale uno » nel sistema paritario dell’Unione, ma è pure vero che, pagando di più, ti aspetti che il tuo parere venga tenuto in debita considerazione pur senza accampare diritti di prelazione sulle scelte politiche fondamentali.

Con la riserva sulle prospettive finanziarie la delegazione italiana chiede di contare per quanto versa: che la sua pressante richiesta in materia di migranti sia presa in debito conto da tutti, dalle istituzioni europee non devono  lasciarci soli, dagli altri stati membri perché si facciano carico dell’onere dell’accoglienza. Il nostro argomento di fondo è che, proteggendo la frontiera mediterranea, noi rendiamo un servizio all’Unione nel suo insieme, che nei nostri confronti non ha soltanto un debito di generosità ma un vero e proprio obbligo giuridico derivante dal principio di solidarietà europea  iscritto nei Trattati da Roma in poi.

La questione al solito è complessa e rischia di scivolare, nella semplificazione mediatica, nel vieto braccio di ferro fra quelli che fanno la voce grossa e quelli che oppongono le orecchie sorde. La nostra riserva è superabile a determinate condizioni: che la programmazione pluriennale sia riveduta in maniera conforme alle nostre esigenze, che la totalità dell’Unione percepisca il fenomeno migratorio come comune, che l’Unione si dia una sveglia nei rapporti con l’esterno a cominciare dai paesi del Mediterraneo meridionale e dell’Africa nera, donde proviene massimamente il traffico di persone.

E’ inevitabile che qualcuno ci chieda conto di una politica di accoglienza “troppo” generosa. Se soccorriamo anche le imbarcazioni che si trovano a ridosso della costa libica, ebbene il problema “ce l’andiamo a cercare”. Ma questa è discussione che viene affrontata a bassa voce, nessuno vuole passare per scarsamente umanitario. Salvo comportarsi in maniera opposta.

Cosimo Risi

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