I Supremi Giudici hanno accolto le tesi dei legali dell’impresa, che hanno richiamato l’articolo 41 della Costituzione per sostenere che “l’imprenditore è libero, pur nel rispetto della legge, di assumere quelle decisioni atte a rendere più funzionale ed efficiente la propria azienda, senza che il giudice possa entrare nel merito della decisione”, e che, di conseguenza, sia “un limite gravemente vincolante” per l’autonomia dell’imprenditore quello di restringere la possibilità di “sopprimere una specifica funzione aziendale solo in caso di crisi economica finanziaria e di necessità di riduzione dei costi”.
La Cassazione ha considerato fondate queste argomentazioni affermando che “il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ipotersi di riassetto organizzativo per la più economica gestione dell’impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa”.
Da ciò, secondo la Suprema Corte, consegue che perchè sia legittimo “è sufficiente che il licenziamento sia determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, tra le quali non possono essere aprioristicamente o pregiudizialmente escluse quelle che attengono a una migliore efficienza gestionale o produttiva, ovvero anche quelle dirette a un aumento della redditività d’impresa”.
Insomma, per licenziare un dipendente “non è quindi necessitato che si debba fronteggiare un andamento economico negativo o spese straordinarie”. Pertanto, nel caso concreto, “non appare immeritevole di considerazione l’obiettivo aziendale di
salvaguardare la competitività nel settore nel quale si svolge l’attività dell’impresa attraverso le modalità, e quindi la
combinazione dei fattori della produzione, ritenute più opportune dal soggetto che ne assume la responsabilità anche in
termini di rischio e di conseguenze patrimoniali pregiudizievoli”.
Ciò perchè “in assenza di una specifica indicazione normativa, la tutela del lavoro garantita dalla Costituzione, non consente di riempire di contenuto l’articolo 3 della legge 604 del 1966 sino al punto di ritenere preventivamente imposto che, nel dilemma tra una migliore gestione aziendale e il recesso da un singolo rapporto di lavoro, l’imprenditore possa optare per la seconda soluzione solo a condizione che debba far fronte a sfavorevoli e non contingenti situazioni di crisi”. L’imprenditore può quindi “stabilire la di menzione occupazione dell’azienda, evidentemente al fine di perseguire il profitto che è lo scopo lecito per il
quale intraprende”.